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Congresso dei penalisti a Taormina, sulla Giustizia aprire una stagione nuova

Quando nella sala gremita del Palacongressi è stato letto il messaggio del ministro della Giustizia Bonafede, che dai penalisti non è andato visto il “clima” che si respira per adesso in tema di riforme della giustizia e ha mandato le solite righe di scuse per “impegni pregressi”, s’è levato un vero e proprio boato di disapprovazione.

Quello era il “grido” disperato e d’allarme, degli oltre ottocento penalisti italiani, che da ieri sono riuniti a Taormina in congresso straordinario indetto dell’Unione camere penali italiane. Titolo emblematico: “Imputato per sempre”.

Nella prima giornata di lavori, che è stata molto intensa e con una serie di interventi istituzionali di primo piano, il filo conduttore che è emerso da ogni intervento ha replicato alcuni concetti di fondo su cui i penalisti si confronteranno fino a domenica, quando decideranno il da farsi. Ovvero se alzare le barricate ad oltranza oppure concedere ancora credito al governo e alla classe politica.

Intanto c’è già fissata un’astensione dal 21 al 25 ottobre, per lanciare un segnale chiaro, e poi incombe, mancano appena due mesi a gennaio 2020, la norma sulla prescrizione decisa dal precedente governo. Una cosiddetta “rivoluzione” decantata che proprio i penalisti hanno già definito «aberrante», e vogliono contrastare con tutte le loro forze.

La situazione attuale è stata per esempio fotografata nelle parole del presidente della Camera penale “Pisani-Amendolia” di Messina Adriana La Manna, cui è toccato insieme al suo direttivo l’impegno immane di organizzare l’intero congresso: «Siamo davanti ad una criticità elefantiaca del processo penale, mentre noi dobbiamo andare verso una “minimizzazione” del processo penale, solo così si potrà fare funzionare il diritto processuale penale».

Che la situazione italiana in tema di circuiti giudiziari sia ormai al collasso è emerso del resto dagli altri interventi, nel primo pomeriggio, su alcuni temi-chiave soprattutto legati alle indagini preliminari e al processo di primo grado: liste testimoniali pletoriche e inutili, difetti di notifiche continui, udienza preliminare che non ha realizzato quelli che erano gli scopi iniziali, senza fare da reale filtro.

Nel pomeriggio su questi temi dell’emergenza di sono confrontati al Palacongressi alcuni addetti ai lavori di primo piano nel corso di un dibattito, ovvero il procuratore generale di Roma Giovanni Salvi, il presidente dell’Unione camere penali italiane Gian Domenico Caiazza, il professor Luca Marafioti dell’Università Roma Tre, che è un avvocato, e il presidente della terza sezione penale del tribunale di Messina Massimiliano Micali.

E partendo dai dati ministeriali e dell’Eurispes sulle pendenze penali del nostro Paese, quasi un milione e mezzo, dalle statistiche disaggregate sulle varie fasi delle indagini preliminari e dei tre gradi di giudizio, la rivoluzione possibile ipotizzata è stata ben chiara a tutti: per gli attori istituzionali delle riforme è necessario non farsi prendere dalla fregola e ragionare con calma seduti intorno ad un tavolo, senza colorazioni politiche o preconcetti, per tirare fuori dal cilindro governativo e parlamentare delle modifiche che realmente incidano sul disastro-giustizia italiano. Insomma, aprire una stagione nuova.

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