Giuseppe Antoci non ci sta e reagisce con forza all'ipotesi di «simulazione» avanzata dalla commissione antimafia regionale presieduta da Claudio Fava, che ha inviato un documento approvato all'unanimità alla commissione nazionale antimafia e alla Procura chiedendo nuove indagini. Secondo un documento approvato all'unanimità, quei colpi di fucile contro l'auto di Antoci potrebbero essere stati una «messinscena» dove lui sarebbe stato «strumento inconsapevole».
«Sono rimasto basito - dice Antoci a qualche ora dall'ufficializzazione del documento -. Mi sarei aspettato che la commissione regionale si occupasse non di me ma di chi ha consentito anche all'interno della Regione, con connivenze dei colletti bianchi, che milioni e milioni di euro transitassero dalle casse della Regione e andassero a finire nelle tasche dei più efferati capi mafia siciliani. Ci si occupa invece delle dinamiche di quello avvenuto nell'attentato dando credito a mascariatori e a trattati falsi già giudicati calunniosi e oggetto di un'indagine dei Ros. Non si può dire che la magistratura o le forze dell'ordine abbiano lavorato male. Una cosa che lascia senza parole e della quale ognuno si assumerà le proprie responsabilità. Questa è una pagina buia per il nostro Paese. La delegittimazione è pericolosa. Non si gioca facendo politica con la vita della gente».
Secondo lei Antoci è stata la mafia a sparare quella notte?
«Esiste una cosa che si chiama Stato e istituzioni e poi esiste una cosa che si chiama magistratura e sentenza. Il giudice per le indagini preliminari ha emesso un decreto che ha valore di sentenza, così come la richiesta della Dda che riportava le stesse cose e dice: “quello di Antoci è stato un attentato di mafia fatto non allo scopo di intimidire ma di uccidere e dice che Antoci era stato monitorato”. Io preferirei essere un uomo libero e dormire sono tranquilli. Io preferirei non avere l'odio della mafia. Preferirei non avere l'odio di un capo mandamento come Rodolfo Virga che nelle intercettazioni di qualche giorno fa dice che Antoci li ha consumati. Avrei preferito fare un bagno a mare con la mia famiglia. Invece, non sono più un uomo libero. Vengo considerato tra le persone più a rischio nel Paese e più esposto nella lotta alla mafia».
Lei ha detto nell'immediatezza dell'ufficializzazione del documento che aveva ragione Falcone: bisogna morire per essere credibili. Lo crede veramente?
«Questa è la prova provata. Se in quel conflitto a fuoco io e i mie ragazzi della scorta fossimo morti saremmo qui a fare lapidi e ad applaudire. A ricordare degli eroi. Dobbiamo stare attenti sull'esposizione che diamo ai fatti e ai segnali che diamo. Oggi il segnale che si dà è sbagliato: si sovraespone chi combatte la mafia».
Antoci lei c'era quella notte... Quella della notte del 2016 le è sembrata fosse una simulazione?
«Non c'è una settimana, non c'è una notte in cui nei miei sogni non mi ritorni in sogno quello che è accaduto. Non c'è giorno in cui almeno per una volta non pensi a quei poveri ragazzi che in quei momenti non riuscivano nemmeno a respirare. Ricordo i pianti, le urla. Tutto questo ce l'hanno sulla pelle. Loro e le loro famiglie. Non si offende il lavoro dei magistrati. L'archiviazione dell'indagine è obbligatoria dopo 24 mesi. Per andare a processo occorrono delle prove. Se non ci sono non si può dire che le indagini siano state fatte male o che sia stata tutta una finta. È una cosa che lascia senza parole».
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