La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Francesca Picilli, che nel 2012 uccise il fidanzato nel corso di una lite a Sant'Agata di Militello colpendolo con una coltellata al torace. La donna si è costituita nel carcere di Bollate, per scontare una pena di dieci anni e sei mesi come deciso in Appello. Il litigio il 4 marzo 2012 era nato per futili motivi e la giovane lo colpì senza volerlo uccidere ma poi il fidanzato morì in ospedale per la coltellata che la donna gli aveva sferrato al torace. Immediata la replica dell'avvocato di Picilli, Nino Favazzo: “Nel primo pomeriggio di oggi, Francesca Picilli, avuta notizia dell’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso a suo carico dalla Procura Generale della Repubblica di Reggio Calabria, si è costituita presso il carcere di Bollate, per scontare una pena a poco più di dieci anni di reclusione. Dopo la dichiarazione di inammissibilità dell’ultimo ricorso per cassazione, infatti, è divenuta esecutiva una sentenza di condanna che, definire ingiusta, appare riduttivo e a cui si è giunti anche per il comportamento di chi, ben conoscendo i fatti per averli appresi dalla vittima, durante il suo breve ricovero ospedaliero, non ha avvertito la esigenza di testimoniare in giudizio, venendo meno ad un preciso dovere. Queste mie considerazioni, non vanno lette come un inutile esercizio critico nei confronti di una sentenza ormai da eseguire, ma vogliono essere uno stimolo che scuota la coscienza di costoro che, con le proprie dichiarazioni, possono ancora consentire di far luce sui fatti, aprendo concretamente la strada ad una possibile revisione del processo e, quindi, ad una corretta qualificazione giuridica della condotta. Se chi sa, si deciderà a parlare, all’esito di un giudizio di revisione, la originaria contestazione di omicidio volontario pluriaggravato, potrà essere riqualificata non più in termini di omicidio preterintenzionale, come fin qui avvenuto, ma piuttosto in quella di lesioni personali colpose o al più, di omicidio colposo, in concorso con i sanitari che, per ben dieci giorni, hanno avuto affidato in cura Benedetto Vinci, senza accorgersi della lesione riportata. Non impunità si invoca per la giovane santagatese, ma la applicazione di una pena che tenga conto della sua effettiva responsabilità. Chi sa, dunque, non abbia remora a parlare.”