La Corte Europea per i Diritti dell'uomo di Strasburgo, dopo un ricorso presentato dall'avvocato di Messina Giovambattista Freni, ha riaperto l'inchiesta sulla morte nel carcere di Gazzi a Messina del detenuto Antonio Citraro, avvenuta il 16 gennaio del 2001. L'uomo, 31 anni, figlio di un imprenditore messinese e in attesa di giudizio, più volte aveva chiesto di essere trasferito dal carcere di Messina per motivi che poi non sono stati approfonditi. La morte fu etichettata come un suicidio, ma dopo le denunce della famiglia il Gup di Messina dispose il rinvio a giudizio per il direttore del carcere, due agenti di custodia e il sanitario del tempo, con le accuse di favoreggiamento, falso per soppressione, omicidio colposo, abuso dei mezzi di correzione e lesioni personali. Il Tribunale e la Corte di Appello pronunziarono sentenza di assoluzione per gli imputati e anche la Cassazione decise di confermare il verdetto. I genitori però non si sono arresi e hanno presentato ricorso alla Corte Europea per i diritti dell'uomo. Quest'ultima ha deciso di accertare i sistemi di tutela dei detenuti nelle carceri italiane, formulando dei quesiti. Chiede innanzitutto "se nel carcere di Messina esisteva ed esiste al momento un regolamento relativo al rischio di suicidio"; "il motivo per il quale la cella di Citraro è rimasta priva di illuminazione nei giorni che hanno preceduto il suicidio"; "se l'amministrazione del carcere si occupava di somministrare farmaci ai detenuti"; e infine "con quale sistema l'amministratore del carcere aveva deciso di controllare Citraro quando si era barricato in cella per protesta". La Corte Europea intende accertare se, nei casi di persone ristretti in carcere per la prima volta, sono apprestati adeguati rimedi, con sostegno psicologico e somministrazione di farmaci, necessari per scongiurare estreme decisioni.