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Inchiesta di Messina sulle sentenze pilotate, altri due arresti: c'è anche il manager Bigotti

Ezio Bigotti

Un altro rivolo giudiziario del “sistema Siracusa” e della rete di corruzione ordita dall’avvocato Piero Amara travolge nuovamente il top manager Ezio Bigotti, ovvero il vertice della società Sti e “anello di congiunzione investigativo” sugli appalti Consip e sulle sentenze di favore al Consiglio di Stato a Roma.

Bigotti questa volta è finito agli arresti domiciliari su richiesta della Procura di Messina per corruzione in atti giudiziari e falso. Stessa sorte è toccata al tecnico petrolifero Massimo Gaboardi, già coinvolto in vari filoni dell’inchiesta della procura peloritana retta da Maurizio De Lucia, e anche nel caso Eni gestito dai magistrati di Milano.

Gaboardi in questa tranche messinese è al centro di una vicenda per la formazione di un falso verbale di dichiarazioni reso davanti all’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, allo scopo di depistare sul caso Eni. Un verbale che sarebbe stato “precompilato” da Amara e poi reso “ufficiale” da Longo in un suo fascicolo.

Mentre per il terzo indagato di questa nuova puntata, il consulente siracusano Vincenzo Ripoli, il gip di Messina Maria Militello deve adesso valutare una richiesta si sospensione dall’esercizio dell’attività di perito. Le misure sono state eseguite questa notte dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Messina, che è diretto dal tenente colonnello Jonathan Pace.

Lo scenario delineato dalla Procura di Messina, che sul “sistema Siracusa” indaga ormai da un paio di anni, è ancora una volta la rete di “relazioni” create da Amara. In questo caso per fare aprire al pm all’epoca in servizio a Siracusa, Giancarlo Longo - che coinvolto in questa storia ha già patteggiato la pena di 5 anni -, un fascicolo “specchio” basato su false denunce, con lo scopo di depistare le indagini della Procura di Milano su Eni-Algeria e Eni-Nigeria e fare archiviare le accuse a carico di Bigotti.

Questa volta però, proprio dopo le dichiarazioni accusatorie di Amara e del collega di studio Giuseppe Calafiore, fino ad oggi “coperte”, ci sarebbe la prova che alcune mazzette finite nelle tasche del pm aretuseo Longo siano state “versate” a suo tempo in prima battuta proprio da Bigotti.

Il quale secondo l’accusa era ben consapevole del fatto che proprio grazie alla “intermediazione” degli avvocati Amara e Calafiore, e al denaro fornito, il procedimento penale a suo carico si sarebbe concluso “positivamente”.

Nel marzo scorso, a Roma, Bigotti ha subito il sequestro di 40 milioni di euro, la stessa cifra che secondo le indagini è stata fatta “uscire” dalla società Ge.Fi. Fiduciaria Romana srl. Nelle carte di quel sequestro risultavano anche pagamenti verso la Exitone spa, società controllata al 100% dalla Sti, a sua volta amministrata da Bigotti. La Sti è finita anche nell’indagine per le presunte false fatturazioni verso le società controllate dall’avvocato Amara, ed è poi nota per essere finita nell’inchiesta sul maxi appalto Consip da 2,7 miliardi di euro.

Anche il nuovo fascicolo aperto a Messina ripercorre le vicende della Sti e della Exitone. Per aprire ancora nuovi scenari.

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