«Sarebbe bastato un click per evitare gli arresti». Cateno De Luca è un fiume in piena. Anche in Tribunale. Si difende con le unghie e coi denti a Palazzo Piacentini, dov’è in corso il processo sul caso Fenapi. Lancia un guanto di sfida (e anche qualche sguardo “duro”) a chi lo accusa. Definisce documentazione «farlocca» quella che lo ha trascinato nell’ennesimo procedimento penale.
il sindaco di Messina si toglie più di un sassolino dalle scarpe, puntando l’indice, in particolar modo, contro la Guardia di finanza, rea, a suo giudizio, di aver male applicato «le norme di settore» e di aver dato una chiave di lettura «riduttiva» della galassia Fenapi, anzi, «della Fenapi Group». Perché, come spiegato da De Luca, l’errore starebbe a monte, ossia nell’essere considerato da chi ha gestito l’inchiesta «un amministratore di fatto». Ma la Fenapi, ha aggiunto durante le dichiarazioni spontanee rese ieri davanti al giudice monocratico Simona Monforte e al pubblico ministero Francesco Massara, «non è ne mia né di Carmelo Satta, bensì di 500mila soci. Le decisioni le prende un consiglio generale».
Al termine dell’intervento di De Luca, i suoi difensori, gli avvocati Carlo Taormina e Tommaso Micalizzi, hanno chiesto al giudice l’immediato proscioglimento e allegato la documentazione relative alla pronuncia del Riesame, del gip e al “cautelare”. Il Tribunale ha ritenuto, allo stato, di non accogliere la richiesta. Prossima udienza a gennaio. Sul calendario sono segnati il 18 gennaio, il 13 febbraio e l’1 marzo.
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