Sono stata io ad uccidere Roberto Scipilliti. Fabrizio Ceccio non c’entra in questa storia. Era nascosto in casa sua, ad Augusta, non era nemmeno con me quel giorno, a gennaio 2017, a Savoca.
I capelli ramati di scuro, il fazzoletto stropicciato tra le mani per asciugare qualche lacrima, stretta tra una giacca leggera verde petrolio e i pantaloni neri attillati, un paio di scarpe di vernice all’inglese, lo sguardo intristito forse dal rimorso, la bellezza un po’ sfiorita dei suoi 49 anni, Fortunata Caminiti ieri mattina ha tentato di scagionare nell’ultimo impeto processuale possibile il suo amante dall’accusa di omicidio. Un amore criminale dietro le sbarre della vita che ha preso una brutta piega per lei, qualche udienza prima che il processo agli “amanti diabolici” si concluda davanti a giudici e giurati della corte d’assise di Messina.
La Caminiti e Ceccio al penultimo atto prima della sentenza hanno raccontato la loro verità per le classiche dichiarazioni spontanee, e lei ha cercato di cambiare le carte in tavola con una nuova versione dei fatti.
Scipilliti - ha detto la donna in aula -, il vigile del fuoco ucciso, era debitore verso la coppia di 1.500 euro per un’auto. Dopo averlo agganciato l’uomo salì sulla Panda gialla che lei aveva noleggiato prima e le disse di recarsi in un altro posto. Lei era sola, Scipilliti le disse “sali verso San Francesco di Paola”. Ceccio non c’era quel giorno, era rimasto a casa, ad Augusta, perché era ricercato. Il vigile del fuoco, mentre erano in auto, le disse che non avrebbe pagato in denaro, poi una volta arrivati in campagna dalle sterpaglie tirò fuori un sacco di plastica. C’erano due pistole con le munizioni, “lo pago così il debito” le disse Scipilliti, “ti faccio vedere come funzionano”. Ne prese una e la passò alla donna, “la devi provare”.
Mi sono spaventata - ha raccontato poi la Caminiti -, con la pistola in mano ho poggiato il braccio lungo il sedile, (alle sue spalle), e mentre lui caricava l’altra arma mi ha urtato, stava cadendo la pistola che impugnavo ed è partito il colpo. Poi sono scesa dalla macchina, l’ho tirato fuori dal sedile e sono andata via, ho portato con me le pistole. La macchina era sporca di sangue, ho proseguito fino ad Acireale, lì ho trovato un lavaggio, e dopo ho preso l’autostrada fino ad Augusta. Fine.
È la verità o solo un tentativo di addossarsi l’intera colpa del delitto? Questo lo deciderà la corte. Dopo aver faticato a raccontare, ieri mattina, la Caminiti s’è appartata un po’ di tempo con il suo avvocato Katia Veneziani, all’ultima fila di tavolacci dell’aula, mentre Ceccio la guardava dalla “gabbia”. Dal canto suo l’uomo, quando è stato ascoltato, ha detto qualcosa come “conoscevo Scipilliti, era un amico non me lo aspettavo, non potevo immaginare, mi ritengo del tutto estraneo”.
Dopo questo colpo di scena il difensore di Ceccio, l’avvocato Salvatore Silvestro, ieri ha chiesto alla corte presieduta dal giudice Massimiliano Micali una perizia, per avvalorare il nuovo racconto. Ma dopo una lunga camera di consiglio la richiesta è stata rigettata. Il pm Antonella Fradà, che ieri ha depositato il cd con le riprese delle telecamere che inchiodano gli imputati, dal canto suo dopo aver spiegato come tutto fosse già abbastanza chiaro in questa storia, s’era dichiarata contraria, così come l’avvocato Antonio Roberti, che assiste la parte civile, i familiari di Scipilliti. Alla prossima udienza, il 21 novembre, forse sarà già sentenza.
La ricostruzionedelineata dall’accusa
Secondo l’accusa la storia ebbe inizio il 4 gennaio del 2017, giorno in cui Ceccio e Caminiti noleggiarono una Fiat Panda gialla per 48 ore. L’indomani, nel primo pomeriggio, i due dopo alcuni giri tra S. Teresa di Riva e Savoca diedero appuntamento al pompiere, che salì a bordo dell’utilitaria con quelli che di lì a poco sarebbero diventati i suoi aguzzini. E arrivarono in contrada Rina, a Savoca, in campagna. Scipilliti fu giustiziato quando era ancora in auto, con un solo colpo di pistola alla, testa esploso da dietro e verosimilmente in maniera improvvisa. È ancora incerto il movente: interessi illeciti comuni tra assassini e vittima, oppure zone d’ombra nell’ambiente delle chat erotiche e degli appuntamenti a pagamento.
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