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«Sparai cinque colpi a Isgrò»

Aurelio Micale

Con la terza puntata si chiude il “racconto” del nuovo pentito Aurelio Micale, che sta continuando a parlare con i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Messina, riferendo tutto quello che sa su oltre vent’anni di appartenenza a Cosa nostra barcellonese. Questo terzo step chiude in pratica il compendio dei verbali finora depositati dai magistrati nell’ambito del maxi procedimento “Gotha 6”, su una lunga serie di omicidi avvenuti lungo la zona tirrenica nell’ultimo trentennio, attualmente in corso di svolgimento in corte d’assise a Messina. Il resto delle dichiarazioni, almeno per il momento, è “coperto”.

L’omicidio di Giovanni Isgrò
Secondo quello che riferisce Micale «Isgrò Giovanni era vicino a Perdichizzi Giovanni, ed era organico all'associazione. Il Perdichizzi gestiva le estorsioni a San Giovanni per conto della famiglia mafiosa barcellonese», mentre sarebbe questa la causale: «... Chiofalo Domenico ha subito un attentato da parte di Isgrò Giovanni e di un altro soggetto». Chiofalo rimase ferito in quell’agguato. «Dell’agguato - prosegue il pentito -, al Chiofalo ne parlai anche con Calderone Antonino, classe 75; era presente anche Chiofalo Domenico; il Calderone riteneva che il mandante dell’agguato era Perdichizzi Giovanni e che la causale del fatto era legata alla spartizione dei proventi estorsivi». L’esecuzione: «Tutti i presenti siamo quindi saliti a bordo della auto di mio fratello Gianfranco. Eravamo io, Chiofalo Domenico, Munafò Franco e Calderone Antonio, classe ’88, i quali salirono a bordo dell’auto da me condotta». Si creano quindi una serie di gruppi che perlustrano Barcellona alla ricerca di Isgrò. Poi la svolta tragica: «... il Calderone ritornò da noi, che eravamo sempre parcheggiati nello stesso posto, e ci comunicò di aver visto l’Isgrò presso un barbiere che si trovava vicino al cinema Coratro. Immediatamente, partimmo da lì a bordo della macchina rubata. Munafò era il conducente, accanto vi era Chiofalo e dietro vi ero io. Avevamo le seguenti armi: io una magnum 357, Chiofalo un fucile calibro 12 canne mozze». L’irruzione nel salone da barba: «Arrivati davanti al barbiere, Munafò si è accostato ad un furgone bianco, che era parcheggiato proprio davanti all'ingresso, in modo da bloccare il traffico ed avere spazio davanti per fuggire. Dalla Fiat Punto scese prima Chiofalo e poi io. Il Chiofalo fu il primo ad entrare dal barbiere, io lo seguivo a breve distanza. All’interno del locale, Isgrò Giovanni era seduto sulla sedia del barbiere, accanto a lui vi era il barbiere che gli stava tagliando la barba o i capelli, non ricordo. Entrando sulla sinistra, seduti, vi erano D’Amico Bartolo e Ofria Peppe. Chiofalo, quindi, provò a sparare ma il fucile si inceppò; a quel punto, intervenni immediatamente io con la pistola che avevo, sparai 5 colpi all'indirizzo dell’Isgrò, colpendolo da dietro all’altezza del torace. L’Isgrò cadde alla sua sinistra. Subito uscii dal salone del barbiere, il Chiofalo mi aveva preceduto, e mi precipitai verso la macchina guidata dal Munafò, il quale, tuttavia, aveva fatto pochi metri in avanti, dopo che era salito a bordo Chiofalo». La confessione: «Questo è l’unico omicidio in cui sono stato esecutore materiale».

L’esecuzione di Giovanni Di Paola
Micale racconta che «... Calderone Antonino mi disse che Di Paola doveva essere ucciso perché si appropriava del denaro dell’impresa Cep e, con questo denaro, stava, tra l’altro, realizzando la villetta ed aveva anche aperto un centro benessere a Brolo o nei pressi di Brolo ed aveva un tenore di vita elevato». La partecipazione effettiva del collaborante fu solo in una fase preparatoria: «... Per quanto riguarda il mio ruolo in queste fasi dell'omicidio programmato, su indicazione di Calderone io avrei dovuto notare Di Paola, quando questi si trovava nei pressi del cantiere della villetta, raggiungere a bordo del mio vespino Calderone Antonino in un punto dove costui si trovava appartato, vicino a dei campi di calcetto unitamente a Siracusa Nunziato, segnalare la presenza del Di Paola in questi luoghi, in maniera tale che Calderone Antonino e Siracusa Nunziato si muovessero per uccidere Di Paola». Ma i piani cambiarono e in quel frangente non si attuò nulla dopo l’appostamento. I particolari poi appresi: «Alcuni dettagli relativi all’omicidio di Di Paola mi furono riferiti da Calderone Antonino a distanza di qualche giorno dall'uccisione. Lo lessi sul giornale dell’omicidio e chiesi al Calderone informazioni; questi mi disse che era stato lui ad uccidere il Di Paola, unitamente a "u’ cuccu", soprannome di Siracusa Nunziato. Mi riferì, in particolare, che lui e Siracusa avevano accostato con la macchina a quella a bordo della quale si trovava il Di Paola, e Calderone Antonino aveva fatto fuoco con una pistola cal. 45; l’omicidio era avvenuto nei pressi dell’imbocco autostradale del casello di Brolo, prima di immettersi sulla carreggiata principale».

La morte di Emanuele Minolfi
Racconta Micale nel contesto di dichiarazioni sull’omicidio Di Paola: «Qualche tempo dopo, mi trovai a parlare con Carmelo D’Amico e Calderone Antonino, e discutemmo dell’omicidio del Minolfi. In quella circostanza, appresi da entrambi che erano stati loro, effettivamente, gli autori dell’omicidio di Minolfi e che questi era stato eliminato perché aveva ucciso Carmelo Genovese, detto “micio”; sia da Calderone Antonino che da D’Amico Carmelo appresi che Minolfi era stato eliminato perché bisognava far capire, in questo modo, a Stefano Genovese, fratello di Carmelo Genovese, e nostro associato, che l’omicidio del “micio” non era stato voluto dalla nostra associazione mafiosa e che, quindi, Minolfi era stato ucciso proprio perché si era permesso di ammazzare un associato. Sia Carmelo Genovese che Stefano Genovese erano, infatti, nostri associati, mentre Minolfi non faceva parte dell’associazione».

L’omicidio di Carmelo Mazza
Secondo Micale «... Mazza Carmelo fu ucciso perché faceva estorsioni per conto proprio, senza rendere conto all’associazione mafiosa di cui faceva parte». Ed ancora: «Come ho detto, dissi a Francesco D’Amico che non ero d'accordo sull'uccisione di Mazza e, quindi, egli non mi coinvolse in quest'omicidio. Qualche giorno dopo l’omicidio, chiesi informazioni a Francesco D’Amico e costui mi disse “tu vai a giocare a calcetto e noi ci diamo da fare”; Francesco D’Amico, infatti, aveva saputo che la sera dell’omicidio io ero stato effettivamente a giocare a calcetto al campo di S. Anna, unitamente a parenti della sua ex ragazza. D’Amico Francesco mi disse che era stato lui ad uccidere Carmelo Mazza insieme a Chiofalo Domenico e Carmelo Giambò, quali componenti del commando che aveva proceduto all'uccisione; il commando si era recato sul posto con una macchina rubata da Franco Munafò. D’Amico Francesco specificò che, al momento dell’omicidio, Giambò Carmelo guidava l’auto, Francesco D’Amico era seduto accanto e dietro si trovava Chiofalo Domenico; quest’ultimo aveva sparato col fucile, poi Francesco D’Amico era sceso dall’auto, finendo Mazza a colpi di pistola cal. 38. In quel contesto, appresi anche che Munafò Franco aveva recuperato i tre killer, dopo l’omicidio, a Pozzo Perla».

L’omicidio di Salvatore Da Campo
Secondo il pentito: «... io avevo conosciuto Da Campo un po’ di tempo prima tramite D’Amico Francesco. In quella circostanza io e il D’Amico ci recammo a casa del Da Campo per prelevare una pistola a salve e munizioni, che servivano al D’Amico. La casa era a Terme Vigliatore, vicino al Grand Hotel. In quel periodo il Da Campo aveva in suo una Mercedes rossa classe G. Dopo l’episodio della consegna dell’arma e delle munizioni, D’Amico Francesco fu diffidato da Calderone Antonino a non frequentare più il Da Campo in quanto ritenuto confidente della polizia; per questo motivo andava eliminato. In un successivo incontro che ebbi con Calderone Antonino, costui mi disse espressamente che Da Campo Salvatore era stato ucciso da lui stesso e da Siracusa Nunziato».

La morte di Mario Milici
Racconta Micale che «... Milici Mario era associato e faceva parte del gruppo dei vecchi. Era un associato di spessore. L’omicidio è avvenuto ad agosto del 1998, prima di quello di Catalfamo Giovanni. Il Milici era autorizzato a tenere bische per conto della associazione. Tuttavia, egli non versava i relativi proventi all’organizzazione e per questo motivi fu ucciso. Questa cosa mi fu detta da Calderone Antonino e D’Amico Carmelo».

Muore Felice Iannello
Micale rivela che «... Iannello Felice, soprannominato “Testa Spaccata” è stato ucciso nel 1995/1996. Era uno spacciatore di droga. Spacciava nella zona di Pizzo Castello a Pozzo di Gotto, dove abitava. Iannello è stato ucciso proprio perché spacciava droga, attività illecita che l’organizzazione mafiosa barcellonese non tollerava in alcun modo. Carmelo D’Amico aveva motivi di astio nei confronti dello Iannello per una discussione avuto in passato, di cui non conosco il motivo. D’Amico lo definiva “lordo” quando lo vedeva e aveva rancore nei suoi confronti. Fu Calderone Antonino a dirmi che lo Iannello era stato ucciso perché spacciava. Mi disse pure che, in quella occasione, era stato risparmiato il fratello dello Iannello, Domenico, il quale si trovava insieme alla vittima. Il Calderone mi disse anche che gli autori dell’agguato furono lui stesso, Gullo Santo e Siracusa Nunziato. L’omicidio avvenne a Falcone; oltre che con il fratello Domenico, la vittima era in compagnia di altre persone».

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