Si aggira per le strade di Messina l’uomo vestito da volpe nera: le riprese del docufilm “Furrylicious”
Il rapporto tra il mondo umano e animale come fenomeno culturale e aggregativo al centro di "Furrylicious" di Elisa Pontillo (“Premio Solinas Documentario per il Cinema 2024”), nato e sviluppato grazie al progetto de “L’uomo e la bestia”, ideato da Antonietta De Lillo e realizzato dalla Marechiaro Film. Un uomo con sembianze di volpe nera il personaggio protagonista, che in questi giorni si è aggirato per le vie di Messina, toccando luoghi di vita usuale, come supermercati, bar, centri ricreativi (la sala bowling), contesti deputati all’istruzione (la facoltà di Veterinaria dell’Università), fumetterie, per approdare infine alla Passeggiata a aare, alla Villa Mazzini e, domenica scorsa, a piazza Duomo. Lo stravagante animale-uomo non è una maschera o cosplayer nel senso classico del termine, bensì una concreta testimonianza del “furry fandom”, subcultura nata in America negli anni ’80 e adottata da persone diverse per età, cultura, religione e orientamento sessuale, accomunate dal travestimento in animali antropomorfi, per inviare messaggi di aggregazione e abbattimento di barriere e pregiudizi. «Da “nerd” che frequenta convention e festival del fumetto conoscevo già il “furry fandom” – spiega la regista casertana –, così ho sfruttato l’occasione del contest per raccontare questa storia, convinta che il modo più originale per affrontare il tema del rapporto tra uomo e animale fosse parlare di chi ha abbracciato questa cultura». “Furrylicious” vede protagonista uno dei primi “furry” italiani, Massimo Cicciò, alias RedFoxy Darrest, “nickname” con cui è presente anche sui social. Tecnico informatico, 48 anni, dotato di un costume da volpe nera con le ali («Ne amo l’ambiguità e polivalenza», dice), è il fondatore del gruppo “South Furry Party”, che riunisce “furry” da tutto il Sud Italia. Messinese doc, viene seguito dalla cinepresa in luoghi della città a lui cari, a cominciare dalla sua abitazione nel quartiere Annunziata, e nelle vie storiche come La Farina, I Settembre, Tommaso Cannizzaro e via Corbino. «Ho deciso di rintracciarlo perché ha vissuto diverse generazioni del “furry fandom” dal punto di vista di una persona del Sud – racconta Pontillo – e da donna del Sud mi rendo conto quanto possa essere difficile vivere questa cultura e parlarne». Una sottocultura vissuta in maniera intensa da chi ne fa parte. «Per qualcuno il “furry” è la rappresentazione di se stesso – sottolinea Cicciò –. C’è chi vive pensando di comportarsi sotto certi aspetti come l’animale, chi è convinto che la propria anima abbia la forma di quel dato animale, o semplicemente concepisce il “furry” come un costume per esternare qualcosa. Ma tutti hanno un elemento comune: la forma della maschera. La “furrsuit” (il costume da “furry”) aiuta spesso ad aprirsi agli altri, perché è un modo per non mostrare se stessi rimanendo se stessi, oltre a rappresentare un mondo estremamente inclusivo, dove non importano ceto, sessualità o colore della pelle. Sei sempre ben accetto». Significati importanti sottolineati anche dalla promotrice del contest Antonietta De Lillo: «Attraverso la storia di Massimo si racconta quanto noi siamo vicini agli animali, e questo fa riflettere sull’insensatezza di maltrattarli. Inoltre, la vicenda del protagonista ci pone molte domande sulla nostra identità e sulla voglia di assumerne una nuova».