Ambientazione contemporanea per un classico che dopo quattrocentoventi anni fa riflettere sui sentimenti umani e sulle tragiche conseguenze di ossessioni e fantasmi della mente. «Non sono quello che sono», trasposizione cinematografica dell’ «Otello» di William Shakespeare, scritta e diretta da Edoardo Leo – in sala dal 14 novembre per Vision Distribution dopo l’anteprima a Locarno nel 2023 – ripropone la tragedia del Moro di Venezia catapultando i personaggi e la loro vicenda nella Roma dei primi anni 2000.
Il regista e attore romano, che nella storia interpreta il perfido Iago, fa emergere l’attualità del celebre testo rispetto alle tematiche inerenti il possesso, la gelosia ossessiva e la conseguente violenza di genere, con protagonisti Jawad Moraqib e Ambrosia Caldarelli nei panni di Otello e Desdemona, Matteo Olivetti in quelli di Cassio (nel film Michele) e Antonia Truppo nel ruolo di Emilia.
In queste settimane che ne precedono l’uscita, Leo sta incontrando gli studenti universitari di tutta Italia in un masterclass tour del film che domani (ore 15.30) farà tappa nell’Aula Magna dell’Università di Messina. Il talk sarà moderato dalla giornalista Natalia La Rosa, e interverranno col regista il prof. Fabio Rossi (ordinario di Linguistica Italiana dell’ateneo) e la Rettrice prof. Giovanna Spatari. Si esplorerà la trasposizione cinematografica anche dal punto di vista del linguaggio, e verrà messa a fuoco la relazione fra testo letterario e indagine sociologica. Ne abbiamo parlato con Edoardo Leo.
«“Non sono quello che sono” nasce da un articolo di giornale dei primi anni 2000 su un marito che aveva ucciso la moglie per poi suicidarsi – ci ha detto Leo – . Trovando similitudini con la trama dell’ “Otello”, ho intrapreso questo viaggio verso la realizzazione del film, con l’idea di raccontare attraverso un classico una realtà contemporanea drammatica, sempre più protagonista della cronaca negli ultimi anni».
«Otello» mette in primi piano i sentimenti umani peggiori, come violenza, gelosia ossessiva, invidia, accanto a maschilismo e razzismo. Quale può essere la loro valenza rappresentativa? La trasposizione sullo schermo può portare ad una sorta di educazione al sentimento?
«Sicuramente i film pongono alcune domande importanti allo spettatore. In questo caso si mette sul piano della rappresentazione una dinamica incredibilmente tossica, che porta un uomo a passare da un amore pulito ad una gelosia così viscerale da sfociare dell’omicidio della donna amata. Il mio intento era mostrare come non sia cambiato niente dal 1604, proprio immergendo le parole di Shakespeare nel contemporaneo».
Rispetto alla gelosia patologica, quale sentimento può essere considerato suo precursore, nel senso di insinuarla come fa Iago nella tragedia? Frustrazione, fallimento, mancanza di autostima o altro?
«C’è un meccanismo particolare dentro tutti i personaggi, non solo in Otello e Iago, ma anche in Emilia. Una specie di doppio Io, che quando va in disequilibrio diventa malato, come lo è Iago nell’insinuare certe dinamiche nella testa di Otello. Ma è Otello stesso a permetterglielo, inscena il male perché conosce solo quel sentimento e non sa tenerlo a bada. Infatti, rendere Iago l’unico colpevole della tragedia rischia di farlo diventare un alibi per Otello. Col film invece ho voluto amplificare la colpevolezza del carnefice. Otello non è vittima di Iago, ma di se stesso; soprattutto oggi non si può raccontare la dinamica scatenante della gelosia di Otello attenuando la colpa del protagonista».
Il testo è rappresentato integralmente, ma con i dialoghi in romanesco e napoletano. Perché la scelta di questi due dialetti per narrare situazioni e sentimenti senza tempo?
«Ho fatto questa scelta dopo lunghi studi sulla maggior parte delle traduzioni italiane del testo originale dalla metà dell’Ottocento. Ho pensato che il dialetto potesse restituire la poesia del dramma e anche certe metafore e figure retoriche, assieme alla violenza profondamente popolare che sta dentro “Otello” e la maggior parte delle opere del Bardo. Ho cominciato a tradurre il testo in romanesco, il dialetto che conosco di più, con l’aiuto di Antonia Truppo per il napoletano, ed è incredibile come il dialetto riesca a restituire certe immagini letterarie molto elevate di Shakespeare rendendole incredibilmente contemporanee».
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