Sobrietà, efficacia narrativa e rappresentativa in due opere che ieri al Taormina Film Festival hanno focalizzato il dibattito su due aspetti complementari della giustizia: la lotta alla criminalità organizzata e la questione controversa della possibilità di recupero dei detenuti. Due grandi narratori della Sicilia, Pasquale Scimeca e Aurelio Grimaldi, hanno incontrato la stampa per presentare i loro ultimi film «Il giudice e il boss» e «La rieducazione». Il giudice e il boss – produzione Arbash con Rai Cinema – focalizzato sull’operato del giudice Cesare Terranova (Gaetano Bruno) e del maresciallo di polizia Lenin Mancuso (Peppino Mazzotta) fa emergere aspetti significativi della loro battaglia contro il boss Luciano Liggio (Claudio Castrogiovanni), che hanno portato verso il processo contro i Corleonesi che si è dibattuto a Bari del 1969, e che, con un diverso esito, avrebbe potuto scongiurare le grandi stragi di mafia degli anni successivi. Un film definito dallo stesso regista necessario: «Dopo il racconto del mondo contadino di “Placido Rizzotto” e quello su Fra Biagio Conte (“Biagio”), l’anello mancante del mio cinema a capitoli erano proprio Terranova e Mancuso, perché seguendo i corleonesi e Liggio scoprono che la mafia ha lasciato la campagna per trasferirsi nella città, andando anche fuori dalla Sicilia, oltre la “linea della palma” descritta da Sciascia. Era doveroso raccontare un momento storico mancante alla storiografia e alla cinematografia sulla mafia, ma altrettanto importante soffermarsi sulle due figure dal punto di vista umano, perché Terranova ha insegnato una nuova metodologia d’indagine a Falcone, Borsellino e ad altri magistrati e Mancuso, assieme a Boris Giuliano, a poliziotti come Cassarà e Beppe Montana». Un lavoro di preparazione intenso, uno studio approfondito sui personaggi, quindi, per far emergere la loro statura professionale e umana. Una sfida attoriale per Gaetano Bruno, interprete di Terranova, che si è confrontato col regista e i familiari di Terranova e Mancuso per costruire il personaggio: «Ho voluto trovare sfaccettature legate a un modo particolare di concepire il lavoro: un continuo porre le basi dell’intervento in maniera spietata, avendo però rispetto delle persone su cui indagava». Il film è stato scritto da Scimeca con il giornalista Attilio Bolzoni e la collaborazione della scrittrice messinese Nadia Terranova, lontana parente del giudice. Il tema dei diritti dei detenuti e la loro rieducazione prevista dall’articolo 27 della Costituzione nel film di Aurelio Grimaldi La rieducazione. Un work in progress dove realtà e finzione si confondono, riecheggiando il genere mockumentary. Ispirato alle esperienze del regista di docente nel carcere minorile Malaspina di Palermo, narra la rieducazione, mai realmente avvenuta, di Totò Riina, rinchiuso nel 41bis, da parte del prof. Dario Di Vita, interpretato dallo stesso Grimaldi e suo alter ego. A dare volto al Capo dei Capi il palermitano Tony Sperandeo, che ha scritto i dialoghi col regista. Il coronamento di un sogno per Grimaldi, che ha raccontato alla stampa quanto il sacro fuoco della passione ignori sonoramente il rischio delle «missioni impossibili». «Un film unico – ha detto – per il suo essere una ricostruzione per me facile da realizzare, avendo sempre avuto l’aspirazione a lavorare come psicopedagogista». L’opera intende soprattutto sensibilizzare sull’attuale situazione carceraria, focalizzando l’attenzione sulla difficoltà del recupero, non dal punto di vista medico o psicologico, ma a causa dell’esiguo numero dei professionisti rispetto a quello dei detenuti: un aspetto che di fatto impedisce la programmazione di iter pedagogici personalizzati, senza contare il complesso e lungo iter burocratico cui vengono sottoposti i protocolli di recupero. «L’attuale situazione della rieducazione carceraria è un disastro – ha concluso il regista – e questo film vuole in qualche misura dare un segnale». Una bella sfida anche per Tony Sperandeo, che si è immedesimato nel personaggio immaginando le sue reazioni. La volontà di dare un segnale di speranza e recupero nella scena in cui Riina parla con Dio: «Ho pensato che un uomo con 19 ergastoli addosso si sarebbe potuto e dovuto confrontare con Dio e rispondere delle sue malefatte».