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Taormina Film Fest, “Picciridda” e il cuore siciliano conquista tutti

La storia del libro comincia nel 2006, quella del film nel 2013, grazie a un cuore di mamma. Catena Fiorello racconta questa vicenda con lo stile del fratello Rosario, fa la “show woman”, imprinting di famiglia. “Picciridda”, film italiano, anzi siciliano, in concorso al 65. Taormina FilmFest, è stato proiettato, applauditissimo, ieri e si presenta come candidato alla vittoria. Opera prima del regista palermitano Paolo Licata (già autore di premiatissimi cortometraggi), è una storia drammatica, nei primi anni 60, di gioventù violata e di “emigrazione passiva”, che non sfrutta il dolore per farne spettacolo ma piuttosto racconto di umanità.

Intanto Catena imperversa: «Quando la mamma del regista lesse il mio romanzo, sei anni fa, telefonò subito al figlio che era all'estero. Questo libro è perfetto per la tua opera prima, gli disse, dando vita a un'odissea». Sì, perché Licata si innamorò di “Picciridda”: «Trovai gli ambienti, i sapori, gli odori della Sicilia che sognavo di ritrarre». Detto, fatto: steso il progetto e poi una prima versione della sceneggiatura, si trovarono i produttori, entusiasti. Salvo cambiare idea dopo un po'. «Un film che non fa ridere non ottiene soldi - racconta la scrittrice -, ma noi abbiamo vissuto l'incredibile: abbiamo trovato nuovi produttori, scomparsi una settimana prima dell'inizio già fissato delle riprese. Non solo, c'è anche la storia surreale con il presidente dell'Istituto Luce: vi indico un periodo per le riprese, una location, facciamo tutto per Cannes, è un film adatto a quel festival. Ma non accadde nulla. Tanto che dissi a Paolo di lasciar stare, di pensare ad altro, insomma non era cosa». Invece, ecco il secondo intervento di cuore di mamma. Altra telefonata, questa volta a Catena, per dirle che no, che vedeva il figlio depresso, triste, che insomma quel progetto s'aveva da fare a ogni costo. E così finalmente è stato: si è partiti, riprese a Favignana e, a sei anni dalla prima idea, ecco il debutto al Festival di Taormina.

Alla presentazione ci sono il regista, le due protagoniste Lucia Sardo, nonna Maria, e la giovanissima Marta Castiglia, la nipotina Lucia, e altri attori, ma Catena Fiorello continua a imperversare. «Dopo aver partecipato alla stesura della sceneggiatura, non sono mai andata sul set. Credo che l'autore in questi casi sia solo ingombrante e il regista debba sentirsi libero. Dopo aver visto il film, posso dire che Licata ha capito tutto di me».

E quella nonna? «Sì, ha tanto di mia nonna, del suo modo di fare franco e mai lezioso, nonna Catena di Letojanni».

Lucia Sardo si sente predestinata: «Ho letto i brani di questo libro per una presentazione e dissi subito: questo è un film e io sono nonna Maria». Il suo personaggio è un misto di dolore, fierezza e dignità, intriso di un silenzio, verrebbe da dire tutto siciliano. Ma in realtà c'è qualcosa in più: una macerazione interna che deriva dall'incapacità di comunicare le proprie sensazioni, dal credere di non poter essere capita e dalla delusione che gli altri le hanno dato in gioventù; fino al rischio di sembrare ingiustamente anaffettiva. L'attrice siciliana riesce a rendere in modo magistrale tutto questo. Il suo personaggio parla poco ma dice tutto, un'interpretazione straordinaria.

Per essere un esordiente, Licata ha saputo contenere una materia che più volte corre il rischio del melodramma. Si sofferma sugli sguardi, unisce gli splendidi luoghi dell'isola delle Egadi alla primitività del cuore. Anche se la triste vicenda con uno zio orco e l'amore suicida di una cugina che, in una piccola comunità, ama un uomo sposato, porta Lucia, bambina di dieci anni, a vivere una tremenda esperienza. Andare dai genitori, emigrati in Francia, è la sua salvezza e quando, dopo trent'anni, accetta di tornare a casa può apprendere il tragico seguito della storia, che diventa una definitiva purificazione.

Nel cast anche la messinese Katia Greco (la cugina), al secondo film in questo festival dopo “Cruel Peter”. Un bel traguardo.

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