L’allarme suonato forte ad Avellino ha continuato a rimbombare anche nel turno infrasettimanale contro la Cavese. Non un “incidente di percorso” come forse troppo frettolosamente era stato liquidato, ma il segnale di una squadra in evidente difficoltà. Di risultati certamente, visto che in dodici giornate è maturata una sola vittoria che corrisponde al terzultimo posto in classifica. Ma adesso anche di atteggiamento. Se fino alla gara col Monopoli, infatti, i giallorossi si erano mostrati vivi in campo, pur raccogliendo meno di quanto probabilmente meritato per colpa di errori e limiti che paiono intrinsechi, adesso stanno emergendo fragilità gravi, per quanto risapute guardando l’organico, che hanno comportato due pesanti sconfitte, con nove gol subiti in cinque giorni e una sensazione di sbandamento caratteriale clamoroso. Preoccupa l’andazzo più della classifica. Anche perché nelle ultime tre stagioni, di questi tempi, il Messina ha sempre “bazzicato” nei bassifondi, pagando le solite perseveranti dinamiche: incertezze estive societarie e tecniche, corse contro il tempo, partenze ad handicap, organici incompleti o scarsamente competitivi e spesso da rinforzare, frizioni ambientali che nella stagione in corso hanno raggiunto l’apice con la Curva Sud disertata dai gruppi organizzati. Il raccolto di una semina programmatica insufficiente, spacciata spesso e con atteggiamento supponente per ciò che non era. Lo specchio di una situazione complessiva ormai da tempo compromessa, giunta ad un punto di non ritorno, che necessiterebbe di una scossa alla radice. La squadra, probabilmente, oltre alle proprie carenze, porta sulle proprie spalle tutto questo. Che incide. E dovrebbe avere o trovare la forza per rispondere. Carattere e “bivio Massimino”. E se per qualche settimana era riuscita a farlo con idee, gioco e applicazione, quando c’è stato da tirare fuori qualcosa in più sul piano anche caratteriale, sono venuti i nodi al pettine. Forse si chiede a questo gruppo qualcosa che non ha. O non ha ancora mostrato. Se il caso specifico fosse il secondo, sarebbe il caso di palesarlo nella prossima partita, il derby sentito contro il Catania. Che può rappresentare, per quanto sfida delicata visto il ruolino delle due squadre, un crocevia. Vincere potrebbe fungere da terremoto emotivo, perdere da pietra tombale sul progetto tecnico, unico appiglio per tanti tifosi che in quello societario non credono più da un pezzo. E chiedono solo la cessione. Pavone, Modica e la squadra. Prima della sfida di giovedì, l’esperto ds Peppino Pavone ci ha messo la faccia, provando a portare serenità. Non è bastato. Perché evidentemente ci sono difficoltà più profonde. E ribadiamo, non legate solo al campo, che poi può anche ribaltare l’andazzo ma molto più frequentemente conferma ciò che va o non va fuori. Sul banco degli imputati è finito anche Giacomo Modica, per alcune scelte nelle due sfide perse malamente ma anche perché questo organico racchiude molto delle proprie esigenze, scelte e volontà. La fiducia della proprietà non sembra in discussione, come neppure il forte legame coi giocatori, racchiuso nelle parole di Francesco Rizzo, unico a presentarsi in sala stampa nel dopopartita del San Filippo: «Siamo dalla sua parte al 250%, è come un padre, è il nostro punto di riferimento, lui ci ha scelto, noi abbiamo scelto lui, siamo uniti e non c’è alcun problema - ha chiarito -. Dobbiamo lavorare, prendiamo gol di concentrazione, pagando superficialità. Non ci sono altri fattori, colpa nostra. Deve scattare una scintilla dentro. Nel calcio quando le cose vanno male paga l’allenatore perché è facile cacciarne uno solo invece di trenta, ma dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Il mister è passionale, ha voglia e ambizione, come noi. C’è stata mancanza di attenzione, abbiamo peccato di inesperienza, l’allenatore può fare poco se non dare consiglia ma sta a noi reagire». Parole forse giuste, coerenti. Il problema è che Messina è ormai stanca delle parole, delle speranze, di ciò che sogna e non trova nella realtà. Stanca della mediocrità.