"Ti abbiamo incontrato per le strade della nostra città tante volte eri un uomo buono, ti incontravamo spesso con indosso una cravatta, ti piaceva. Ci avevi detto che per Natale avresti voluto ricevere un orologio... Come per tanti, la strada ha fiaccato il tuo corpo, fino a portarti via. Ciao Kristofer" scrive Pietro Giglio della Comunità di Sant'Egidio che, assieme ad altre associazioni del territorio seguiva Kristofer, il clochard trovato morto ieri mattina, probabilmente per un malore, su una panchina di piazza della Repubblica a Messina.
Chi lo conosceva lo descriveva come un uomo pieno di mitezza e di dignità, alto con piccola barba, guanti tagliati sotto le dita, un cappellino con visiera e occhiali scuri . Il suo prolungamento era un trolley che teneva vicino sempre e che era come una camera da letto, un soggiorno, una cucina, era una casa intera, quelle di cui ogni uomo ha non solo diritto, ma bisogno insopprimibile; era tutto, quel bagaglio, ci appoggiava le briosches, le medicine quotidiane, fogli ben piegati; da lì passava cadenzata su quella superficie tutta la sua giornata. Io gli dicevo solo buon giorno veloce e lui rispondeva con gli occhi bassi, parlava un italiano venato di accento duro dell’Est.
La mattina spesso si sedeva sulle panchine che si affacciano sullo Stretto sotto la statua del Nettuno, il dio rassicurante che di quel mare placa flutti e marosi. Non chiedeva la carità, acquistava con carta di credito farmaci che si somministrava da solo anche con iniezioni, qualche alimento al supermercato e al bar della zona. Non era un uomo perso, senza anagrafe né risorse, era un uomo solo, e , forse, ferito dalla vita. Ma non viveva nella sua casa, nel suo Paese tra le montagne dei Tatra o lungo il fiume della Vistola o nei campi di papaveri e azalee che fioriscono in primavera attorno a Cracovia. Da mesi non frequentava più quel perimetro di città forse per pandemia o altro, si era spostato più al Centro, ma quel quartiere lo aveva preferito, forse gli ricordava le antiche città polacche, con quei filari di palazzi del ‘900 post- terremoto.
È morto al freddo di dicembre, solo, in mezzo ai nostri passi veloci, come tanti altri invisibili, uomini che scelgono la strada, loro o la vita stessa, con i suoi inciampi. Uomini che passano tra di noi, sui nostri marciapiedi, che incrociamo con imbarazzo o con fuggevole tristezza; passano come una ferita, una domanda, un‘eccezione. Uomini come Kristofer, con un nome e una storia che abbiamo perso.
"Scusaci Kristofer. Esiste una povertà ben più grande: non essere amato, sentirsi solo ed emarginato". Con una richiesta di perdono le splendide parole di Madre Teresa di Calcutta, questa mattina i dipendenti di FS hanno voluto "abbracciare" Kristofer per l'ultima volta.