L’ordinanza sarà firmata domani. Il presidente Nello Musumeci lo ha assicurato al sindaco De Luca. È il primo passaggio concreto verso la dichiarazione dello stato di emergenza che dovrà essere decretato dal Consiglio dei ministri. Se Messina riuscirà a ottenere i poteri speciali, sarà una grande conquista, perché non si tratta, come è fin troppo evidente, della conseguenza di un disastro naturale recente ma è il frutto di una situazione così radicata e apparentemente inestirpabile, che solo con provvedimenti straordinari può essere affrontata e risolta in tempi brevi.
Come scriviamo in questa stessa pagina, ieri le baracche di Messina sono finite sotto i riflettori della Rai, diventando una delle principali “Storie italiane”, per utilizzare il titolo del talk shaw della mattina di Raiuno. L’obiettivo di De Luca è stato in parte già raggiunto: fare vedere, toccare con gli occhi, l’emergenza infinita in cui vive una rilevante parte della popolazione sulle rive dello Stretto. Ma non per il solito “pietismo”, non per la solita passerella politico-elettorale, non per l’ennesimo reportage “toccata e fuga” che non fa capire nulla al resto del Paese e lascia solo l’impressione che qui si vive ancora come dopo il terremoto del 1908. In realtà, in alcune zone si vive anche peggio del dopo-sisma, ma certamente non perché quelle baracche che oggi l’Amministrazione vuole meritoriamente smantellare siano eredità di quella catastrofe. L’eredità che ci hanno lasciato i terremoti è la “cultura della baracca”, il resto non c’entra nulla ed è un concetto che è quasi impossibile spiegare a chi viene da fuori.
Ma che la gente non possa e non debba più vivere in tuguri come quelli di Fondo Fucile, o di Maregrosso, o di Camaro, o delle sacche di degrado rimaste in piedi a Giostra, dovrebbe essere un fatto scontato. E invece non lo è. Ieri il sindaco ha dovuto replicare a una sorta di sondaggio di italiani che discettavano se è giusto o meno che i baraccati vengano trasferiti altrove. E De Luca ha alzato la voce anche sui tempi che qualcuno ha definito irrealizzabili. «Non posso non arrabbiarmi – commenta all’uscita dagli studi il sindaco – quando a me, che mi sono insediato a giugno, si rinfacciano i tempi e si chiede conto e ragione del perché ci siano ancora le baracche. Quello che abbiamo avviato non era mai stato fatto negli ultimi decenni e noi andremo avanti fino in fondo, è su questo che ci ho messo veramente la faccia, è su questo che, se fallisco, io davvero vado a casa».
Qualcuno lo accusa di fare opera di “distrazione di massa”, altri paventano che dietro questa accelerazione sul fronte del risanamento ci siano, poi, gli “appetiti” degli speculatori che già pregustano di avere mano libera sull’enorme distesa di aree attualmente occupate dalle baracche. Bisognerà sicuramente vigilare sul “dopo”, ma oggi non si può non sostenere la più importante battaglia di civiltà in corso a Messina. Mettere mano al grande piano di risanamento e di tutela sanitaria delle persone che abitano nelle baracche è anche una sfida di legalità, perché solo così si può mettere fine al malcostume dell’eterno perpetuarsi di una cultura della precarietà, degli affari sommersi che ruotano attorno, dei furbi che ci speculano, dei criminali e dei politici che si “vendono” e che vendono promesse di case e di graduatorie...
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