È stato il loro primo giorno a terra, a Messina, dopo quasi due settimane di navigazione. Sono in 143 nell’hotspot di Messina, sbarcati da nave Diciotti della Guardia costiera rimasta per cinque ormeggiata al porto di Catania, in attesa di potere scendere. E adesso attendono con trepidazione di sapere dove andare. Alle spalle storie terribili di violenze subite durante i loro lunghi viaggi per raggiungere la Libia e poi nei centri di raccolta sul quel lembo infuocato della costa nord dell’Africa che sono come prigioni, a volte peggio: luoghi di sopraffazione e tortura. In molti mostrano le cicatrici evidenti di quegli abusi, come le 11 donne eritree che sarebbero state violentate prima di partire dalla Libia.
Adesso di nuovo l’attesa. Che non dovrebbe essere lunga nell’hotspot dell’ex caserma di Bisconte. È la speranza condivisa dall’arcivescovo di Messina, monsignor Giovanni Accolla già al lavoro «con i rappresentanti delle istituzioni Italiane per decidere insieme in quali centri della Curia trasferirli». Un centinaio saranno accolti dalla Chiesa Italiana, altri 40 saranno distribuiti tra Albania e Irlanda. Mons. Accolla ricorda che i migranti «non sono pacchi, ma esseri umani». Quindi «non possiamo rinunciare alla solidarietà e all’accoglienza», ma allo stesso tempo, ammonisce l’arcivescovo, «certo l’Europa non può, e non deve scaricare, soltanto sull’Italia questa responsabilità». Mons. Antonio Staglianò, delegato per le migrazioni della Conferenza episcopale siciliana (Cesi) annuncia «la disponibilità di tutti i vescovi siciliani per accogliere i migranti» con una posizione che «non è strumentalizzabile ideologicamente». Anche perché, sottolinea il presidente della Cesi, «non facciamo e non vogliamo fare politica», ma solo «testimoniare l’amore e la carità cristiana mentre orientiamo le coscienze dei cristiani». Anche alcune Caritas hanno già dato la loro disponibilità
Nell’hotspot di Messina sono in tutto 143 i migranti che sono arrivati dallo sbarco della Diciotti: 133 che erano sulla nave, dopo che due si sono dichiarati minorenni e altri due sono riusciti a fuggire a nuoto, e sette donne e tre uomini che erano stati ricoverati, in emergenza medica, nell’ospedale Garibaldi di Catania dove sono rimasti tre migranti: due con la tubercolosi e uno con la broncopolmonite. Sono bene assistiti nell’alimentazione e nella cura personale e sanitaria, con il coordinamento della Prefettura di Messina.
In due, hanno raccontato a un’Ong che gli ha offerto assistenza legale, nei giorni scorsi sono riusciti a fuggire: gli eritrei con braccialetti numero 166 e 123, di 30 e 18 anni, che si sarebbero calati in mare di notte e riuscendo a uscire dal porto. Il loro legale ha chiesto asilo politico.
Intanto sulla Diciotti si cerca di tornare alla normalità. Scaletta ritirata, mazze in mano e uso massiccio di detergenti e disinfettanti. Sono già al lavoro di rimessaggio e pulizia i componenti l’equipaggio della nave. I lavori sul pattugliatore della Guardia costiera sono iniziati subito. Il molo di levante del porto di Catania è tornato ad essere zona aperta e accessibile. Non molto distante dalla Diciotti c’è ormeggiata anche la sua nave gemella: il pattugliatore Dattilo. Nel tratto di molo che li separa sono seduti diversi pescatori armati di canne. Davanti la Diciotti resta un presidio di sorveglianza della polizia di Stato. Non è noto quando la nave riprenderà il largo lasciando il porto di Catania.
La polizia ha fermato i presunti scafisti
La Polizia di Stato ieri sera ha eseguito quattro decreti di fermo nei confronti di tre cittadini egiziani e di uno del Bangladesh, ritenuti i presunti scafisti che hanno condotto l’imbarcazione con a bordo gli immigrati poi soccorsi dalla Diciotti e sbarcati in Sicilia. Ai quattro vengono contestati associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, violenza sessuale e procurato ingresso illecito.