«La quarta arma, un fucile doppietta, calibro 12 o 16, la tenevo io anche per conto di Filippo Bonanno. Io l’ho venduta a Luigi Tibia per il prezzo pagato di 400 euro. Anche per questa arma mio fratello mi ha costretto a venderla. È stato lui a contattare Luigi Tibia e poi a dirmi di andare a piazza Casa Pia, al campetto di calcio di Luigi Tibia».
Raccontano questo e altro, tra i tanti omissis, i verbali inediti di Gianfranco Bonanno, che da alcuni mesi si sta soffermando sui retroscena degli “affari” del clan mafioso di Giostra. Compresi quelli della recente inchiesta “Totem”, condotta dalla Squadra mobile della Questura di Messina e dai carabinieri sull’industria del divertimento gestita dal sodalizio guidato dallo stesso Tibia. Pochi giorni fa, durante il processo in corso di svolgimento davanti ai giudici della seconda sezione penale, presieduta da Mario Samperi, i sostituti della Dda peloritana Maria Pellegrino e Fabrizio Monaco, con la collega della Procura ordinaria Antonella Fradà, hanno depositato nel loro fascicolo processuale agli atti del dibattimento una serie di dichiarazioni, acquisite nei mesi scorsi nel corso di lunghi “faccia a faccia” riservati con Bonanno, il quale, comunque, non è imputato in questo procedimento penale.
Le rivelazioni sulle armi sono state fatte il 19 marzo scorso, davanti ai pm Maria Pellegrino e Francesco Massara. Ai magistrati ha detto anche che «al campetto Tibia mi attendeva insieme a Peppe “U bombularu”», suo autista, «e a Tibia ho consegnato il fucile. Il pagamento è stato effettuato da Tibia, 400 euro, a mani di Antonio Bonanno. Antonio ha dato a me e a Filippo la somma che abbiamo diviso, 200 euro». Un affare maturato «dopo il capodanno 2009».
Quanto ai rapporti col reggente del clan di Giostra, Gianfranco Bonanno ha specificato che «i miei fratelli Antonio e Letterio erano intimi di Luigi Tibia. Io in una occasione in cui mi sono recato a casa sua, a San Matteo, dal balcone di casa sua abbiamo sparato con un mitragliatore. Ritengo che fosse ai domiciliari».
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