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Il terrorismo e i suoi luoghi comuni

Il terrorismo e i suoi luoghi comuni

Le nostre violenze non sono solamente quelle che ci toccano o cui assistiamo nel tempo che ci è toccato di vivere, ma comprendono anche quelle che ci vengono da prima, perché sono tutte legate, anche se i fili che le uniscono non sono tutti visibili, perché il tempo passato è contenuto nel tempo presente. Ecco perché quando si parla di terrorismo bisogna pensare che sia un’eredità del passato e che nella storia ci sono stati tanti terrorismi o, meglio, che il terrorismo ha assunto tante forme.

Certo è il fatto che sicuramente il terrorista, di qualunque tipo o appartenenza sia, «per affermare il proprio potere, la fragilità delle sue vittime e dei suoi nemici, usa un metodo molto efficace perché fa leva su un sentimento umano, troppo umano: la paura».

È quanto scrive in “Il metodo della paura. Terrorismi e terroristi” (Laterza, 2018, pp. 258, euro 18, prefazione di Lucio Caracciolo) Rosario Aitala, magistrato catanese che dal 2017 è giudice della Corte Penale Internazionale presso l’ONU, ma ha alle spalle una profonda esperienza e conoscenza del fenomeno del terrorismo odierno grazie al fatto di aver lavorato in Albania, nei Balcani, in Afghanistan e in America Latina dove si è occupato di ricostruzione istituzionale e giudiziaria, mafie e terrorismo.

Un libro scritto per fare ordine - ha detto il magistrato - in una materia disordinata, oltre che complessa, nella quale persistono pregiudizi e fraintendimenti. Molti dei quali sono stati chiariti nel corso dell’interessante confronto-incontro svoltosi alla libreria Ciofalo e in cui Aitala ha dialogato con il giornalista della “Gazzetta del Sud” Nuccio Anselmo e con il procuratore di Messina Maurizio De Lucia.

Il libro molto articolato di Aitala ci accompagna nell’analisi delle varie forme del metodo terroristico, e per lo stragismo palestinese la riflessione si è soffermata più estesamente su quel terrorismo islamico che riguarda la nostra attualità.

Un’espressione, “terrorismo islamico”, che è diventata un luogo comune piuttosto discutibile (Aitala provocatoriamente scrive “il terrorismo islamico non esiste”), come l’altro simile “di matrice islamica”. Che poi, forse, si dovrebbe dire “islamista” e neanche questo sarebbe corretto. Ma gli aspetti religiosi, secondo Aitala, non sono quelli su cui focalizzare l’attenzione, che invece va rivolta all’origine geopolitica e sociale di questo terrorismo.

Certamente, come ha ricordato il procuratore De Lucia, non si possono sottacere né lo scontro sunniti-sciiti che agita internamente il mondo islamico, né il fatto che l’Islam è un religione combattente di fronte alla quale non bisogna chiudere gli occhi (e non bisogna dimenticare che l’Islam non ha avuto un Illuminismo).

Ma, d’altra parte, ha detto Aitala, nell’idea di jihad è compresa quella della guerra santa che però non ha nulla a che fare col terrorismo odierno; e se i due fenomeni condividono la territorializzazione, tuttavia la jihad non ricorre certamente a pratiche suicidarie e stragiste per eliminare i suoi stessi correligionari.

In realtà sia Aitala che De Lucia, sollecitati dalle domande di Anselmo (che ha letto alcuni passaggi significativi del libro), hanno riconosciuto la complessità della realtà attraversata da vari flussi e correnti di Islam. Una complessità di fronte alla quale, come ha aggiunto De Lucia, l’Europa rimane ancora disunita, con le politiche francesi che vanno in direzione sbagliata dopo i fatti di Charlie Ebdo e del Bataclan. Uno sbaglio dal punto di vista legislativo e penalistico, ha ricordato Aitala, far diventare normali, misure di emergenza, perché i reati si scoprono con le indagini e non con le perquisizioni a tappeto. Così si finisce per passare dalla società della responsabilità a quella del sospetto.

Un errore gravissimo, che si aggiunge all’altro della mancata condivisione europea dei dati, una cosa che invece i terroristi hanno capito benissimo. E se l’Italia, nelle parole di Aitala, condivise da De Lucia e da Anselmo, è un paese di inestimabile ricchezza culturale, in cui la diversità, la pluralità e la contaminazione hanno i tratti della convivenza civile e dove c’è un forte connubio tra ufficio del pubblico ministero e polizia giudiziaria, mentre funzionano regolarmente i servizi di intelligence, è bene chiedersi - così in conclusione Anselmo -, dove stiamo andando.

Lo Stato islamico e Al Quaida - ha ricordato Aitala - sono ancora attivi e anche se lo stato islamico ha perso una buona fetta territoriale, e la gente comincia ad essere stanca di settarismi che incidono fortemente sulla quotidianità, tuttavia esso ha propaggini in diverse parti con una presenza particolare in Afghanistan (e Aitala ha vissuto a Kabul) e nel Siraq, dove potrebbe tornare un terrorismo disordinato, il peggiore.

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