La Procura affila le armi e dopo le motivazioni della sentenza del processo “Corsi d’oro 2” mette in discussione il verdetto dei giudici.
Oggetto del contendere sono determinate fattispecie di reato, che secondo l’accusa meritano ricorso. In particolare quelle relative a Francantonio Genovese e al cognato Franco Rinaldi, condannati rispettivamente a 11 anni e a 2 anni e mezzo di reclusione. Così, i sostituti procuratori Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, visto il parere del procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia, hanno firmato un atto di appello e lo hanno trasmesso alla Corte d’appello di Palazzo Piacentini.
La Prima sezione penale, nella sentenza emessa il 23 gennaio 2017, con motivazioni depositate il 16 gennaio scorso, ha riqualificato alcuni fatti contestati a Genovese e ad altri imputati, «con conseguente assorbimento delle condotte di peculato in quelle di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (e con successiva declaratoria di prescrizione, limitatamente a taluni anni)». Inoltre, ha assolto Rinaldi da due capi, per non avere commesso il fatto. Per cui, i due magistrati non condividono l’assorbimento dei fatti di peculato nelle ipotesi di truffa aggravata, rilevando che «il Collegio ha fatto propria la precedente pronuncia del Tribunale del riesame» dell’8 marzo 2013 e «la pronuncia della Corte di Cassazione» del 6 febbraio 2014, «che avevano deciso in modo analogo in altro procedimento penale». E «il Tribunale, nel motivare le ragioni per le quali sia ravvisabile la truffa e non il peculato si è, infatti, riportato e precedenti di natura cautelare». Quindi, le conclusioni cui era pervenuto il Riesame «non tenevano conto di quella ch era stata la reale scansione temporale della procedura di acquisizione, gestione, impiego e giustificazione del denaro pubblico».
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