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De Lucia: «Mafia indebolita, ma non sconfitta»

«Le operazioni Gotha hanno destrutturato Cosa nostra di Barcellona, non è stata ancora debellata»

De Lucia: «Mafia indebolita, ma non sconfitta»

Procuratore Maurizio De Lucia, sono passati alcuni mesi dal suo insediamento, aveva chiesto un po’ di tempo per la prima intervista. Che ufficio ha trovato? Il lavoro di questi mesi che quadro le ha fornito?

«Ho trovato un ufficio composto da magistrati molto preparati e molto motivati, con una gran voglia di lavorare e soprattutto di lavorare in squadra. E quindi da questo punto di vista questi primi mesi sono stati estremamente positivi. Abbiamo cercato sempre più di rafforzare la squadra facendo quello che ogni Procura deve fare, cioé mettere in comune tutte le nostre conoscenze ed esperienze. C’è però un problema legato a carenza di strutture e risorse, con un Palazzo di giustizia che “scoppia”, basti pensare a come lavorano i sostituti e gli impiegati al piano seminterrato. Da questo punto di vista credo sia necessario interloquire con i rappresentati della legislatura che verrà fuori dalle urne per risolvere i problemi, compresi quelli dei nostri organici».

- Esiste un “metodo De Lucia” nella conduzione di una Procura, lei ha parlato al suo insediamento del ruolo soprattutto di servizio della magistratura e dell’intensificazione di riunioni  e confronti tra colleghi…

«Sarebbe presuntuoso dirlo, esiste un metodo di lavoro condiviso che cerchi di tirar fuori da tutti i colleghi, ma anche dal personale amministrativo il massimo delle qualità proprio per realizzare quella esigenza che avevo sottolineato anche nel corso del mio insediamento, cioé quella di giustificare la funzione, che è quella di servire i cittadini, e l’esercizio di un potere che i magistrati hanno».

- Che idea s’è fatto della città e della sua condizione, non dal punto di vista prettamente giudiziario ma in generale?

«Beh, io la città la vivo molto poco  perché naturalmente il mio tempo è quasi tutto dedicato all’ufficio, quindi la mia idea è parziale. Indubbiamente questa è una città con molte qualità, dal punto di vista urbanistico, dal punto di vista paesaggistico, che possiede una serie di valori. La sensazione è che questa serie di valori dovrebbero tutti essere esaltati  con un lavoro che invece non sempre si registra, insomma tutti quanti a mio avviso devono dare di più. Penso allo stato di degrado di certi quartieri per esempio, per combattere la criminalità si fa molto di più aprendo una fabbrica e dando posti di lavoro che con un’operazione antimafia. Messina è una città dove c’è un tessuto molto attivo che avrebbe bisogno di continue spinte di sviluppo».

- Ha ereditato le operazioni “Gotha” che hanno indubbiamente contribuito ad “azzerare”, quasi, Cosa nostra barcellonese, e l’operazione “Beta” che ha messo un punto fermo sulla predominanza mafiosa su Messina, con implicazioni di potere nel settore dei colletti bianchi. E adesso? E i colletti bianchi di Barcellona? E gli altri livelli, ammesso che ci siano?

«Sono tutte domande a cui non si può rispondere se non guardando al passato e non al futuro. Le operazioni Gotha hanno massicciamente indebolito la Cosa nostra di Barcellona Pozzo di Gotto che era la più strutturata dell’area messinese, ma siamo ovviamente ancora lontani dal poter dire quella organizzazione è stata debellata. Abbiamo recenti episodi che in qualche misura ci portano a ritenere che le cosche continuino sistematicamente a riorganizzarsi sia pure, per fortuna, a un livello più basso del precedente. Questo perché su di loro insiste l’azione investigativa e repressiva delle forze dell’ordine».

- E sugli altri livelli ?

«Sugli altri livelli non posso dire nulla, non esistono probabilmente “altri livelli” dell’organizzazione mafiosa, diciamo che in quell’ambito ciascuno fa il suo, quindi ogni tanto c’è la manovalanza, ogni tanto c’è qualche soggetto più qualificato che fornisce il suo contributo all’organizzazione. Il nostro scopo è quello di individuarli, catturarli e processarli tutti quanti».

- Insomma secondo lei come si sta evolvendo il fenomeno mafioso nella provincia di Messina rapportato anche alla parte che ricoprono i fiancheggiatori politici e imprenditoriali?

«Si sta evolvendo come si sta evolvendo in tutta Italia, e in particolare nell’altra parte della Sicilia Occidentale, nel senso che in questo momento le organizzazioni mafiose tendono a sopravvivere più che ad affermare, diciamo così, progetti di sviluppo, perché devono fare i conti con un attore con cui non sempre hanno fatto i conti, che è lo Stato. E quindi in questo momento io dico che loro sono presenti, cercano di sopravvivere, ma non sono in condizione, come dire, di elaborare delle linee strategiche volte a impossessarsi di affari o quant’altro. In ogni caso più che di fiancheggiatori politici e imprenditoriali, parlerei di soggetti appartenenti ai mondi dell’impresa, della pubblica amministrazione, della buona borghesia, che cercano loro contatti coi mafiosi, pensando o riconoscendo ai mafiosi una forza che oggi i mafiosi non hanno più. E quindi paradossalmente è proprio questa voglia di mafia, espressa da gente che da 150 anni è abituata a dialogare con la mafia, che rafforza le organizzazioni mafiose, più di quanto esse non siano realmente forti».

- Esaminiamo l’enclave dei Nebrodi che ha rialzato la testa con l’attentato al presidente Antoci. Ancora non si è giunti a un punto fermo su questo agguato emblematico. È stata forse poco “studiata” l’area oppure è necessaria una nuova lettura?

«Ecco, quello che dicevo prima vale anche in territori come quello dei Nebrodi, dove l’interesse è collegato al territorio in maniera molto stretta, perché ci sono i fondi europei da intercettare e le mafie sono attente a qualunque flusso di denaro  pubblico. Lì c’è una presenza attiva delle organizzazioni mafiose, oggettivamente in questo momento indebolite dalla presenza di alcuni strumenti normativi, penso al cosiddetto Procotollo Antoci, che oggettivamente è uno strumento che crea difficoltà alle mafie su quei territori».

- Quindi è un’area che voi state studiando?

«Come tutte le aree del Messinese».

- E sull’attentato che mi dice?

«Noi cerchiamo di dare il massimo sforzo per fare la massima chiarezza su tutti gli episodi di carattere criminale eclatanti che hanno caratterizzato la vita del territorio di Messina e delle zone limitrofe. In questo senso ci sono delle indagini ancora in corso su cui non posso e non voglio dire nulla»

- Quando era alla Dna si è occupato delle infiltrazioni mafiose nell’agricoltura, nel Messinese sono forti...

«Sì certo, ma ci sono come per tutti i campi dove circola denaro, le mafie tendono ad intercettare il denaro lecito. Per esempio un settore molto delicato, io ricordo quando ero in Dna, che abbiamo tentato di mettere in evidenza, è il settore giochi-scommesse dove circola molto denaro liquido. Ed è un campo in questo momento per le mafie di grande interesse, anche perché la legislazione penale in materia non è sufficientemente severa. Per capirci, se io per un traffico di cocaina rischio  parecchi anni di galera, molto meno rischio quando organizzo un’attività illecita legata al gioco».

- L’omicidio Alfano, c’è ancora un’indagine aperta che non vede la conclusione, cosa dobbiamo aspettarci?

«Ovviamente non posso dire nulla, è necessario fare ancora uno sforzo per comprendere quello che è accaduto ma, ripeto, queste sono attività investigative in corso e non posso anticipare alcunché»

- Usura ed estorsione incidono ancora parecchio a Messina e in provincia per quelli che sono i suoi indicatori, sul racket ha scritto un libro…

«Sono due fenomeni molto diversi, entrambi presenti nel territorio messinese. Mentre l’estorsione è intimamente connessa ai fenomeni  criminali organizzati  di tipo mafioso, cioé “non c’è mafia senza estorsione”, l’usura è un fenomeno di natura più artigianale, direi che dipende molto anche dalle condizioni economiche del territorio e meno dalla presenza di organizzazioni criminali sul territorio. Da questo punto di vista nel nostro Paese c’è un sistema di tutela delle vittime che è tra i più avanzati probabilmente del mondo. Un sistema che consente non soltanto a chi denuncia di vedere punito il proprio aggressore, usuraio o estortore che sia, ma che prevede tutta una serie di strumenti di natura economica che consentono alle vittime del racket e dell’usura che abbiano collaborato con lo Stato di rialzarsi in piedi».

- L’operazione “Matassa” ha fatto emergere una vicinanza tra mafia e politica durante alcune consultazioni elettorali più o meno recenti. È ancora in vigore questo sistema? Alle recenti regionali risultano episodi del genere?

«No quello che è in corso è un processo, e dei processi in corso tendo a non parlare. Quello che è certo è che da sempre la mafia si caratterizza per una ricerca  e talvolta uno scambio di rapporti con altre entità politiche ed economiche, uno scambio che è costante. Quindi non c’è ragione di ritenere che non sia andata così anche di recente».

- Lei si trova a fronteggiare anche il fenomeno dell’immigrazione, visto che a Messina sbarcano con regolarità navi di migranti. Che idea s’è fatto della situazione e come si dovrebbe agire secondo lei in questo ambito?

«Prendendo atto che il ruolo della magistratura penale davanti a un fenomeno di questo tipo è molto, molto limitato. Questo è un fenomeno che riguarda enormi flussi di persone che si muovono da un continente all’altro, è una questione che sì il magistrato doverosamente deve affrontare, ma è principalmente politica e sovranazionale. È un discorso che riguarda l’Europa e l’Africa, bisogna cioé avere la consapevolezza che un fenomeno del genere non si governa con gli strumenti del diritto penale».

- Il tema delle infiltrazioni mafiose nel mondo degli appalti, lo scenario siciliano e messinese è cambiato oppure è uguale a quello agli anni 90?

«È molto diverso perché sono molto diverse le mafie che hanno subito quei colpi di cui dicevamo e che no sono più in grado di gestire gli appalti dal momento del finanziamento a quello della costruzione dell’opera. Oggi il loro livello di infiltrazione è molto forte nel campo dei subappalti, ma certo non c’è più quella capacità di permeare e inquinare la vita pubblica che c’era tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90. Da questo punto di vista gli strumenti dello stato di diritto nei confronti della mafia hanno fatto il loro compito. In 25 anni si è sviluppata una linea di continuità nella repressione alle mafie che indubbiamente ha dato i suoi frutti. Grazie anche alla crescita di un fenomeno come quello della cosiddetta antimafia culturale e sociale che certo, ha creato anche figure ambigue che hanno cercato di lucrare dal riconoscimento antimafioso. Ma questo fenomeno è ben poca cosa rispetto all’importanza che c’è stata nella costruzione di una politica culturale antimafiosa, che è del tutto evidente. I bambini di oggi che vanno anche alle elementari conoscono il nome di Giovanni Falcone, non era affatto scontato che a 26 anni dalle stragi questo sarebbe avvenuto. Fare riferimento alle figure di Falcone e Borsellino è un patrimonio importante che non può essere svilito da alcune mele marce».

- Ecco a questo proposito cosa pensa delle recenti polemiche su mafia e antimafia?

«Quello che ho appena detto. Esistono sicuramente dei soggetti che hanno cercato di lucrare sulla figura, diciamo così, dell’antimafia, ma non si può buttare il bambino insieme ai panni sporchi perché il movimento che è stato costituito in questi anni è un movimento importante, una parte importante davvero del sistema Italia, ed è un valore che va comunque tutelato. Un movimento come Libera non può essere messo in discussione se alcuni non marciano nello stesso senso».

- Lei era a Palermo da giovane sostituto negli anni più bui, quelli delle stragi di Falcone e Borsellino e di quei poveri ragazzi delle scorte. Ecco, cosa si porta dentro di quel periodo?

«Moltissimo, la figura e l’esempio di chi ha perso la vita, nelle stragi nel 92, per chi è stato giovane magistrato in quel momento sono ricordi indelebili e, come dire, assunzioni morali irrinunciabili. Chi era lì in quei giorni ha visto il vero volto della mafia assassina, e quanto era pericolosa e violenta quella mafia, e sa che la risposta dello Stato deve essere una risposta secondo le regole del diritto ma assolutamente ferma, alla quale destinare larga parte della propria vita professionale, così come è stato».

- Le posso chiedere cosa pensa del processo sulla Trattativa, o sul concetto di Trattativa lasciando da parte il processo. Cioè ritiene plausibile che si sia stata una “vicinanza” tra pezzi dello Stato, che possono aver agito anche autonomamente, con Cosa nostra?

«No, non me lo può chiedere perché non parlo dei processi in corso».

- La Sicilia è stata “liberata” in parte dalla mafia rispetto a quegli anni in cui era a Palermo o ancora la situazione è critica, insomma in che periodo storico siamo?

«La situazione è ancora delicata, non va sottovalutata, ma certamente è diversa rispetto al passato, l’azione di continuità ha destrutturato molto le organizzazioni mafiose, che cercano di sopravvivere ma non sono in grado di darsi una prospettiva strategica, come è stato nel periodo dei Corleonesi».

- Oggi la mafia come si rapporta con le Istituzioni? E poi, è ancora vero che spesso la politica e una parte della borghesia palermitana “cercano” la mafia, come per esempio sostiene lo studioso inglese John Dickie?

«Sì, lo dicevo prima, sono abbastanza d’accordo sul fatto che sia così. Rispetto ad una entità mafiosa indebolita ma non sconfitta, è molto importante tenere presente che il fatto che sia indebolita non vuol dire che sia sconfitta. C’è chi è abituato da un secolo e mezzo a promuovere accordi con la mafia, nel mondo dell’impresa, nel mondo della politica, in quella che viene definita la borghesia mafiosa, cioé che continua in qualche modo ad aiutare la mafia ad esistere».

- A proposito, i magistrati e gli storici “raccontano” questi fenomeni in maniera molto diversa, secondo lei che tipo di interazione ci deve essere per combatterli e annientarli?

«Io ritengo che il magistrato ha un compito difficile e limitato, quello di fare i processi ai mafiosi, mentre gli storici hanno un altro compito, hanno altri strumenti, altre capacità di visione. Sono due cose molto diverse e diverse devono rimanere. Non comprerei i libri di uno storico che vuole fare il giudice, mi preoccupo certamente di giudici che vogliono fare gli storici».

- Quando era a Palermo ha trattato a lungo il connubio mafia-massoneria deviata, nel Messinese esiste un rapporto del genere, anche alla luce delle recenti risultanze rese pubbliche dalla Commissione parlamentare antimafia sul tema?

«Io non vorrei rispondere a questa domanda perché è da troppo poco tempo che sono qui a Messina per poter avere la presunzione di chiarire fenomeni complessi come questo».

- Dopo Palermo si è aperta la lunga stagione alla Dna, lei tra l’altro ha avuto compiti di collegamento e coordinamento investigativo con le Dda di Palermo e Caltanissetta, oggi in quel territorio che situazione c’è secondo lei?

«Dal punto di vista della presenza mafiosa c’è, è pervasiva, ma come dicevo prima è molto più debole di come era in passato. Dall’osservatorio della Dna quello che si riesce a vedere è quanto sia stata coerente e continua l’azione dello Stato nei confronti delle mafie. Abbiamo parlato prima di storici, allora diciamo che Salvatore Lupo in un suo scritto di qualche che anno fa ricordava che i processi del tempo del prefetto Mori, tra il 1928 e il 1931, si sono mediamente conclusi con condanne dei mafiosi a circa tre anni di reclusione. Questo vuol dire che chi aveva iniziato a scontare la pena nel 1928 nel 1931 era tornato a “mafiare”. Se noi guardiamo quello che ha fatto la repubblica democratica dal 1992 ad oggi, prendendo l’anno delle stragi come anno di partenza, e vediamo qual è la situazione dei mafiosi oggi, possiamo dire che tranne uno tutti i capi sono in carcere e tutti i grandi esponenti delle grandi organizzazioni mafiose perseguiti e condannati. Peraltro secondo le regole dello Stato di diritto, cosa che non era affatto scontata se guardiamo per esempio a fenomeni terroristici degli altri Paesi, in Inghilterra con l’Ira o in Spagna con l’Eta. E questo ci porta ad una considerazione fondamentale e cioé che ha fatto più, e bene, una democrazia in 25 anni che non un regime totalitario quale è stato il fascismo, nel periodo cui ho fatto riferimento».

- A proposito, torno su un concetto, la mafia a Barcellona è sconfitta o si sta rialzando?

«La mafia tenta sempre di rialzarsi, anche le ultime iniziative di carattere processuale che hanno portato ad una cattura recente di molti esponenti mafiosi dimostrano come anche in quel territorio, benché costantemente monitorato, la mafia sia tutt’altro che debellata».

- Con le recenti riforme targate Orlando il vostro lavoro è “peggiorato”, come le giudica? E il tema delle intercettazioni?

«Il nostro lavoro non peggiora né migliora, si complica probabilmente, ma noi ne siamo ben lieti a condizione che siano soddisfatte le esigenze poste a fondamento delle norme. Ad esempio in tema di intercettazioni  le esigenze che  vorrebbero tutelare quelle norme sono tre e difficilmente conciliabili: il diritto alla riservatezza dei cittadini, il diritto dello Stato a indagare sui reati, il diritto dei cittadini ad essere informati dalla stampa. Non sono convinto, al di là dei dati tecnici, che questo tipo di legislazione possa risolvere il problema di poter contemperare questi tre diversi interessi».

- Secondo lei cosa l’aspetta a Messina nei prossimi anni, questa città eternamente seduta, che come diceva il grande poeta, un po’ dimenticato, Bartolo Cattafi nel descriverla, “… e chi succede a chi successe e non fa succedere…”?

«Io sono qui soprattutto per lavorare, mi aspetto di poter lavorare nelle migliori condizioni possibili, cercando di rendere un servizio a questa città».

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