«Ho letto con interesse la cronaca sulle intenzioni di candidatura alla carica di sindaco di Messina. E ho apprezzato in particolare la riflessione finale: neppure una donna in lista? La fotogallery pubblicata dalla Gazzetta ci mostra otto uomini pronti alla pugna per conquistare la fatidica sedia che viene raffigurata, vuota, al centro della pagina. Per un attimo ho chiuso gli occhi e ho provato a vedere una storia differente: otto candidate donna e la sua stessa accorata domanda: neppure un uomo in lista?». Comincia così la lettera alla Gazzetta dell’avvocato Maria Flavia Timbro, candidata messinese nella lista LeU alle Politiche del 4 marzo.
«Vede, caro direttore, come potrebbe essere più giusto e coraggioso il mondo? Il problema, è ovvio, non lo si risolve con un corretto equilibrio di genere, ma piuttosto con un dichiarato impegno pubblico sulle cose da fare, non già avanzando candidature che sono frutto di una malata interpretazione della politica, che dovrebbe porsi al servizio del cittadino e del bene comune. Vedo che i candidabili alla carica di sindaco si presentano come espressione di questa o quella corrente, di questo o quel sistema di potere, di appartenenza ad una “famiglia” piuttosto che ad un’altra. A Messina siamo purtroppo abituati alle “famiglie”, un’espressione che si è trasformata da nucleo primario di persone che stanno insieme, in virtù di condivisi sentimenti affettivi, a forme di aggregazione di potere, talvolta sotterraneo, autoreferenziale e per questo, ininfluente se non addirittura pericoloso per il bene della comunità.
La nostra città va liberata da questa cappa che si porta addosso da decenni. Si tratta di un sistema economico, sociale, culturale e politico che l’ha stretta in una morsa a beneficio di pochi e che ha tenuto, e tiene ancora in scacco, migliaia di cittadini prigionieri, delusi, sfiduciati e, a volte, disperati.
Ecco perché io penso che insieme a programmi, idee, visioni e nuove speranze, ci sia bisogno del pensiero delle donne. Perché le donne, lo si voglia o no, hanno una marcia in più. Sanno essere più libere, più coraggiose, sanno pensare al plurale e non solo al singolare. Le donne, insomma, hanno le competenze e la capacità di affrontare e superare le avversità. Mi auguro, dunque, che i tempi siano maturi per costruire una comunità che abbia l’ardire di mandare una donna a Palazzo Zanca!».