Era un «generalizzato sfruttamento ad opera di ciascun imputato della propria posizione di consigliere comunale a scopi prettamente privati». E «assai spesso le condotte accertate» assumevano «toni a dir poco sconcertanti». Era un’«illegalità diffusa». Eccola, la sintesi giudiziaria nelle 139 pagine di motivazioni della sentenza del processo “Gettonopoli”, che sono state depositate dai giudici della prima sezione penale del tribunale, e che il 3 luglio del 2017 dopo la clamorosa inchiesta della Procura portarono alla condanna di diciassette consiglieri comunali per le “presenze lampo” nelle commissioni di Palazzo Zanca, certificate dagli investigatori della Digos.
Nelle motivazioni i giudici scrivono come «... le commissioni consiliari fossero vuoti involucri, riempiti sono formalmente e apparentemente di contenuti, all’unico scopo di legittimare sedute che fossero idonee a far raggiungere ai consiglieri comunali, per ciascun mese, un numero di presenze cartolari pari al limite minimo necessario per l’erogazione del gettone di presenza nella sua misura massima».