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Il Riesame conferma il sequestro ai Genovese

Il Riesame conferma il sequestro ai Genovese

Messina

Il deputato nazionale di FI Francantonio Genovese secondo il tribunale del Riesame non ha riciclato i soldi del padre Luigi nascosti sin dagli anni ’70 in Svizzera, ma ha però cercato di sottrarsi al pagamento delle tasse in Italia una volta che ha fatto rientrare i capitali nel nostro Paese.

Il sequestro di beni stimato dalla Guardia di Finanza in circa cento milioni di euro della sua “galassia” permane quasi per intero dopo il “passaggio dell’impero” al figlio Luigi, neo parlamentare dell’Ars, perché il TdR ha confermato «... il sequestro delle quote societarie nella L&G Group s.r.l. del ricorrente Genovese Luigi con relativo compendio aziendale, delle partecipazioni societarie della Ge.Pa. s.r.l. in capo a Genovese Luigi».

E quest’ultima società, la Ge.Pa. s.r.l., ovvero la nuova “cassaforte di famiglia” - come fu a suo tempo la Ge.Fin. s.r.l. -, di cui Luigi detiene il 51%, detiene a sua volta, tra l’altro, il 20% delle quote della società di navigazione messinese Caronte&Tourist. Quote che costituiscono un patrimonio non indifferente. A questo bisogna aggiungere che anche tutti gli immobili interessati rimangono sotto sequestro.

Quindi le accuse che la Procura aveva formulato rispetto alla maxi elusione fiscale a carico della “galassia” Genovese, hanno retto al vaglio del Riesame. Per i giudici è “caduta” («parziale accoglimento») l’accusa di riciclaggio per tutti gli indagati, tra i vari familiari.

Le contestazioni iniziali inserite dal gip Mastroeni nel suo decreto di sequestro preventivo erano, volendo leggere la vicenda con i numeri, ventitrè. Il collegio presieduto dal giudice Antonino Genovese ne ha “cassate” dieci, cioé tutte quelle che si riferiscono a due tipologie di reati: il riciclaggio (art. 648 bis c.p.), e l’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648 ter c.p., anche dalla numerazione susseguente si capisce che sono due ipotesi di reato strettamente connesse). Per questo aspetto “cassato” quindi, secondo il Riesame bisogna restituire tutto. Mentre, il Riesame, «individua in relazione ai restanti reati rispettivamente ascritti ai ricorrenti l’importo complessivo suscettibile di sequestro diretto o per equivalente in euro 4.372.000».

I giudici hanno poi stabilito la restituzione dei beni della moglie di Genovese, Chiara Schirò, si tratta di circa 2 milioni, in quanto è caduta anche nei suoi confronti l’ipotesi di riciclaggio. L’accusa sarebbe a quanto pare venuta meno per il collegio - le motivazioni della decisione ovviamente non sono ancora depositate -, grazie alla cosiddetta “voluntary disclosure”, ovvero la collaborazione volontaria con il fisco italiano che è stata messa in atto da Chiara Schirò.

Altro passaggio del provvedimento: restano in piedi i sequestri decisi dal gip a carico di Rosalia Genovese (382mila euro), Elena Schirò (450mila euro), e Marco Lampuri, nipote del parlamentare nazionale; restano in piedi i sequestri relativi alla villa di Ganzirri, agli appartamenti di via Duca degli Abruzzi e a Piraino, agli appartamenti di via Lodi, e di via Sicilia a Roma (ma in quest’ultimo caso solo fino al valore in euro di 953.343,75).

Insomma si tratta di una vicenda molto complessa, che forse si può spiegare - ovviamente semplificando -, in termini più comprensibili soprattutto rispetto a un punto che ha suscitato molta confusione: cioé le due cifre che sono “riecheggiate” in continuazione in questa storia, i “16 milioni” (le richieste del fisco) e i “cento milioni” (il valore dei beni sequestrati secondo la Finanza).

La Procura di Messina guidata da Maurizio De Lucia e l’indagine del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza coordinata dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, sostengono un concetto preciso: l’on. Genovese una volta che ha contratto con il fisco italiano un debito pari a 16 milioni di euro, avrebbe cercato di occultare non 16 ma circa 100 milioni di euro. Sulla scorta della normativa in materia quindi è stato chiesto il sequestro non solo dei 16 milioni, ma dei 100 milioni che - sempre secondo la tesi accusatoria -, l’on. Genovese avrebbe cercato di occultare trasferendoli al figlio e al nipote.

In ogni caso la prossima puntata sarà in Cassazione, visti i ricorsi che la Procura e il difensore dei Genovese, l’avvocato Nino Favazzo, presenteranno.

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Le due note dell’avv. Favazzo

«Non si è mai trattato di 100 milioni»

«La lettura del dispositivo depositato oggi, a due giorni dalla lunga camera di consiglio, nel corso della quale la difesa ha contestato punto su punto il decreto di sequestro, dice a chiare lettere che nessuna ipotesi di riciclaggio sussiste, in relazione alle somme detenute, sin dagli anni 70, in paesi esteri dal senatore Luigi Genovese, trasferite negli anni al figlio Francantonio e da questi rimpatriate. Il Riesame ha accolto in pieno la tesi difensiva della insussistenza del delitto di riciclaggio contestato a tutti i miei assistiti, confermando il sequestro solo in relazione alle residue ipotesi di sottrazione al pagamento delle imposte. Due ed entrambi importanti, dunque, i risultati ottenuti in questa prima fase di contraddittorio: la esclusione delle condotte di riciclaggio e la drastica riduzione dell’ammontare del sequestro, da 16 a 4 milioni circa di euro. Dopo il deposito della motivazione, ricorreremo senz’altro in Cassazione per vedere annullato, nella sua interezza, il provvedimento cautelare».

«Posto che non si è mai trattato di un sequestro di “circa 100 milioni di euro”, la misura cautelare è stata emessa fino alla concorrenza di poco più di venti milioni di euro, non risponde al vero che i giudici della Libertà hanno confermato il sequestro stabilendo la restituzione solo dei beni della moglie di Genovese, circa 2 milioni, in quanto è caduta nei suoi confronti l’ipotesi di riciclaggio. Il Tribunale, invero, ha così provveduto: “annulla il provvedimento impugnato in relazione ai capi 2), a), c), c1), d), e), f), h), l1), l3); individua in relazione ai restanti reati rispettivamente ascritti ai ricorrenti l’importo complessivo suscettibile di sequestro diretto o per equivalente in euro 4.372.000”. Il decreto di sequestro è stato annullato per tutte le ipotesi di riciclaggio e reimpiego contestate a tutti gli indagati, ritenendo la insussistenza dei fatti».

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