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I tre marittimi uccisi dall’acido solfidrico

Tre operai morti a Messina, aperta un'inchiesta

Perizia tecnica, risultanze delle autopsie e analisi biologiche. Tre chiavi di volta nell’inchiesta sulla tragedia a bordo della nave Sansovino, costata la vita a tre marittimi.

La seconda tappa è stata toccata nelle ultime ore, con gli esiti degli esami necroscopici sui corpi del primo ufficiale Cristian Micalizzi, 38 anni, di Messina, del secondo ufficiale GaetanoD’Ambra, 29 anni, di Lipari, e del motorista Santo Parisi, 51 anni, di Terrasini. Sono morti nel novembre 2016 per arresto cardio-respiratorio e danno ipossico cerebrale dovuto all’inalazione di sostanze tossiche, nella fattispecie di acido solfidrico. Emerge dal resoconto scientifico stilato dal medico legale Elvira Ventura Spagnolo e dal tossicologo Guido Romano, nominati dai sostituti procuratori Federica Rende, Marco Accolla e Roberto Conte, titolari dell’inchiesta coordinata dall’aggiunto Giovannella Scaminaci. Trova un importante riscontro, quindi, il fatto che la sostanza killer sia stata l’acido contenuto nella sentina del traghetto ormeggiato al molo Norimberga, come peraltro emerso dai primi rilievi effettuati nell’immediatezza della sciagura dai vigili del fuoco del Comando provinciale di Messina e dagli uomini del Nucleo Nbcr (Nucleare-batteriologico-chimico-radiologico). Sul tavolo dei magistrati manca adesso solo la relazione del chimico del ministero della Difesa, chiamato ad analizzare il livello di tossicità delle sostanze contenute nella stiva dell’imbarcazione. Qualche giorno fa, invece, depositato lo studio tecnico di 108 pagine del consulente tecnico dei pm Salvatore Gianino. Il capo reparto commerciale e lavorazioni esterne dell’Arsenale militare e marittimo di Augusta ha riscontrato presunte violazioni in materia di sicurezza e ha individuato profili di responsabilità nei confronti di cinque persone. È giunto alla conclusione che «il rischio presente non era stato valutato correttamente, poiché il personale di bordo operava in assoluta rilassatezza», «non tutti gli operatori indossavano i necessari dispositivi di protezione individuale e ciò vale in particolare per il personale entrato nello spazio vuoto n. 6 e sceso al piano di chiglia inferiore senza indossare una mascherina antigas, un autorespiratore, una cintura di sicurezza». Inoltre, le operazioni sarebbero avvenute «in contemporanea ad altri lavori rischiosi». Ancora, l’intervento della ditta esterna «non sembrava coordinato con le operazioni dei dipendenti di bordo» e «i soccorsi si sono svolti in maniera tanto concitata e confusa».

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