Se c’è un’emergenza a Messina, la più drammatica tra le tante che viviamo giorno dopo giorno, è l’emergenza giovani. Negli ultimi mesi abbiamo pubblicato i dati che a noi sembrano terrificanti: in otto anni, dal 2009 al 2016, un’intera generazione compresa tra i 20 e i 29 anni è andata via dalla città e i segnali per il prossimo futuro non sono certo migliori rispetto a quelli dell’ultimo decennio. Vanno via e non tornano.
Ebbene, le reazioni della città sono state flebili, quasi impercettibili, tranne qualche lodevole eccezione. Si è alzata più volte la voce dell’arcivescovo Giovanni Accolla che ha invitato le istituzioni e gli enti locali a cercare soluzioni e strategie, a breve, medio e lungo termine, per trattenere i nostri ragazzi o, comunque, per farli tornare dopo gli studi e le esperienze professionali in altre parti d’Italia o del mondo. Qualche altro intervento isolato, dal mondo sindacale e della politica, qualche buona intenzione manifestata, ma nulla di veramente “forte”, nessuna terapia d’urto all’orizzonte per evitare un’emorragia che rischia di dissanguare Messina sul piano non solo demografico ma economico-sociale, culturale, perfino etico.
Davanti alla fuga dei giovani messinesi, le notizie del “caso Genovese” e tutto ciò che accade nei Palazzi della politica non fanno altro che aumentare lo scoramento, la rabbia, la sensazione d’impotenza e di rassegnazione.
Quali sono i giovani a Messina? Quelli che ricevono l’investitura “regale” e si scoprono deputati e milionari a vent’anni? Quelli che cominciano a fare le file alle segreterie dei politici, perché mamma o papà o zii dicono che a Messina si fa così o se no non si troverà mai lavoro? Quelli che aspettano la manna dal cielo, finché dura la pensione dei nonni?
O sono forse i giovani che, usciti dal Nautico, s’imbarcano e cominciano una vita massacrante a bordo di navi mercantili o da crociere? Quelli che con il diploma dell’Antonello sono pronti ad andare perfino in una pizzeria al Polo Nord pur di cominciare a lavorare? Quelli del “Cuppari” che si cimentano nei campi dell’agricoltura bioIogica e del “ritorno alla terra”? I ragazzi e le ragazze che hanno scelto sfide non facili, cercando fortuna al Nord, in Europa o dovunque ci sia uno spiraglio?
Perché non si parla mai di questo? Il Paese, e dunque anche la nostra città, è avvitato su logiche vecchie, parla dei problemi dei vecchi (emblematico il dibattito sulle pensioni) ma trascura, nei fatti, le nuove generazioni, cancellando la possibilità stessa di avere un futuro. Se perdessimo altri quattro-cinquemila giovani nell’arco dei prossimi 5-6 anni (questo è il trend che emerge dai report), a fronte di un tasso sempre più basso di natalità – con l’eccezione delle comunità di immigrati radicatesi nel nostro territorio –, andremmo incontro a una sicura desertificazione sociale ed economica. Chi riempirà quegli spazi vuoti? In quali mani finirà Messina, non più Città metropolitana, ma solo uno sperduto villaggio in riva a uno Stretto troppo largo per poter essere colmato dai sogni e dalle speranze di chi resta? Parliamo di questo, escogitiamo strategie, non rassegniamoci a essere i “becchini del futuro”.