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Quote, centri, hotspot:
la “mappa” dei migranti

Quote, centri, hotspot: la “mappa” dei migranti

Venti strutture, sorte come funghi, più quello che nel linguaggio comune viene definito hotspot, nonostante l’hotspot più che un luogo sia un insieme di procedure. Una quota comunale stabilita per legge, secondo i nuovi parametri fissati dallo Stato. E un sistema che rischia, senza un’adeguata oliatura degli ingranaggi, di implodere.

La grande macchina dell’accoglienza dei migranti a Messina è mutata profondamente e rapidamente nel giro di pochissimi anni. Diventando capillare nel territorio, generando la nascita di una “galassia” di centri e provocando, al contempo, malumori e tensioni che da una parte sono intrisi di pregiudizi, dall’altra rappresentano un campanello d’allarme che non può essere ignorato.

La “rivolta” di Bisconte era nell’aria. La goccia dell’illuminazione pubblica carente ha certamente fatto traboccare un vaso di suo piuttosto pieno, ma che qualcuno non ha indugiato ad alimentare per proprio tornaconto. È risaputo che ai residenti non piace che il “cuore” dell’accoglienza ai migranti sia proprio lì, nell’ex caserma Gasparro. Ma proprio per questo diventa necessario farsi un’idea di precisa di cosa accada davvero, alla Gasparro e in tutto il resto del territorio cittadino.

Serve una premessa. Con il ministro dell’Interno Marco Minniti sono arrivate alcune novità. La prima è quella delle quote: ogni comune ha un “tetto” di migranti, 2,5 ogni mille abitanti. A Messina si superano i 600 (incide anche l’essere città metropolitana).

La seconda riguarda la natura di centri e strutture. In passato la divisione era tra Cpsa (Centri di primo soccorso e assistenza), Cie (Centri di identificazione ed espulsione), Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo). Adesso al posto dei Cie ci sono i Cpr (Centro per rimpatrio), i Cara vanno verso lo svuotamento, ma rimangano in piedi per le emergenze: l’obiettivo è puntare sugli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Poi ci sono i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e sono rimasti i Cpsa. Che, di fatto, vengono identificati con gli hotspot. Il sistema hotspot è la modalità con cui funzionano i Cpsa, in ogni punto di sbarco, e si fondano su registrazione, identificazione e rilevamento delle impronte digitali, debriefing dei richiedenti asilo ed operazioni di rimpatrio. Chi chiede asilo viene smistato nei vari centri. Chi non chiede asilo è destinatario di un provvedimento della Questura, il cosiddetto “foglio di via”: il migrante in questione deve lasciare il Paese entro 15 giorni. Ma quanti lo fanno realmente?

A Messina l’ultimo appalto assegnato dalla Prefettura è relativo proprio al Cpsa (o se si preferisce hotspot) di Bisconte: ad aggiudicarselo per quattro mesi una cooperativa di Trapani, “Badia Grande”, per un totale di 250 posti. Alla Gasparro convive con il Cas, gestito invece dalla “Senis Hospes”, con 200 posti letto. Due strutture, due cooperative, divise anche fisicamente alla ex Gasparro.

La “Senis Hospes” gestisce altri quattro centri: casa Ahmed, due piani per un totale di 99 posti (per minori) nell’ex Ipab “Conservatori Riuniti Scandurra”; uno Sprar per donne singole e figli, 36 posti in via Industriale; due Sprar per 10 minori, uno in via La Farina e l’altro a Contesse (entrambi in avviamento). Sono ben sei le strutture gestite dai “Padri Rogazionisti”: l’Antoniana (5 posti per minori), Cristo Re (Casa famiglia per minori, 2 posti), Antoinette (2 minori), Villa Sorriso (3 minori), Ismaele (15 posti per adulti, accoglienza di secondo livello), Sant’Antonio (altri 15 posti). Due comunità alloggio per minori sono dell’Ipab Casa Famiglia “Regina Elena”, entrambe con 5 posti: L’Albero della Vita e Sofia Idelson.

In pieno centro si trovano, ancora, una comunità alloggio per 5 minori, la Grillo Parlante, gestita dalla cooperativa “Beati Paoli”, e il centro per minori Amal, 60 posti, della cooperativa “Liberty”, nell’ex hotel omonimo della famiglia Franza. A Villa Lina si trova il primo Sprar per adulti (21 posti tra maschi e famiglie) sorto in città, quello gestito dalla cooperativa “Pro Alter 2000”. Non è esente, infine, la periferia: uno Sprar per 12 minori a Granatari (coop. “Utopia-Oxfam”), uno Sprar per 15 adulti vulnerabili psichici a Curcuraci (“Pro Alter 2000”) e, a sud, lo Sprar per 25 soggetti vulnerabili (donne singole con figli) gestito dalla cooperativa “Santa Maria della Strada” a Giampilieri Marina.

Dove sta l’intoppo? Nei tempi di attesa sempre più lunghi nella procedura di presentazione delle richiesta d’asilo. Tempi lunghi equivalgono a centri pieni. Per questo ne sorgono sempre di più. Ma è un sistema che, con queste modalità, rischia di implodere.

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