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"Quella “casta” mortifica il mondo accademico"

"Quella “casta” mortifica il mondo accademico"

Il prof. Giuseppe Ingrao, 46 anni, messinese, associato di Diritto tributario all’Università di Messina, docente nei dipartimenti di Giurisprudenza ed Economia, è una delle maggiori “vittime” dei meccanismi corruttivi e di casta portati alla luce dall’inchiesta “Chiamata alle armi” della Procura di Firenze. In particolare, nel 2015 venne immeritatamente bocciato alla procedura di abilitazione scientifica nazionale nell’ambito del Diritto tributario.

Come è emerso da alcune intercettazioni tra due docenti che aiutavano il prof. Amatucci a scrivere i giudizi, ed erano turbate dal fatto che si dovesse bocciare il “supertitolato” Ingrao, nonché dalla risposta loro data dallo stesso Amatucci secondo cui «per quelli che hanno tutto bisogna scrivere che non ha la maturità», il professore associato messinese, che aspirava a diventare ordinario, finì vittima di un meccanismo perverso che bloccava quanti non rientravano nelle liste dei vincitori redatte e fatte circolare in anticipo – secondo l’accusa – dai cosiddetti “capiscuola”.

Ascoltiamo con piacere il prof. Ingrao che comunque in seguito ottenne la meritata idoneità per professore ordinario.

Quali sono state, professore, le sue prime sensazioni dopo aver appreso dalla stampa nazionale di essere stato vittima di un’assoluta ingiustizia, che sarebbe il frutto di una sfrontata azione corruttiva?

«Ho appreso dalla lettura di alcuni quotidiani l’esistenza di intercettazioni telefoniche e ambientali risalenti al 2015, riguardanti la mia candidatura all’abilitazione scientifica nazionale per professore ordinario, contenenti dichiarazioni rese da uno dei cinque commissari, il prof. Amatucci, che mi hanno lasciato a dir poco stupito: emerge, infatti, una gestione della procedura del tutto spregiudicata, basata su criteri non meritocratici».

Lei, in quel periodo, dopo aver studiato e prodotto pubblicazioni per diversi anni, era convinto di avere tutti i titoli necessari a conseguire l’idoneità alla funzione di professore ordinario…

«Io ritenevo di essere ampiamente in linea con i requisiti richiesti per ottenere l’abilitazione; invece mi è stata ingiustamente negata con una motivazione del tutto inconsistente. Oggi ne ho avuto piena consapevolezza. Avevo titoli di gran lunga superiori a candidati che sono stati giudicati positivamente. In particolare, le mie pubblicazioni, rappresentate da due monografie su collane nazionali e da numerosi articoli su riviste scientifiche classificate di fascia “A” dal Ministero, toccavano tutti i principali argomenti del Diritto tributario».

Non prova rabbia di fronte allo stratagemma lessicale usato nel giudizio adottato dal prof. Amatucci nei suoi confronti e dettato a una sua allieva, ovvero al rilievo le sarebbe mancato un generico “rigore metodologico”?

«È una formula di stile ampiamente utilizzata nei concorsi universitari che non evoca alcun preciso criterio, la verità è che se non avessi avuto “rigore” nella produzione scientifica non avrei fatto parte dal 2006 del comitato di redazione della Rivista di diritto tributario, che è la più importante rivista di fascia “A” della materia, e non mi sarebbe stato consentito di pubblicare oltre quaranta saggi, in questi anni, sulle riviste scientifiche di fascia “A” del settore. Né tanto meno avrei potuto pubblicare una delle mie monografie nella principale collana di settore “L’Ordinamento Tributario Italiano”».

Ma come reagì di fronte a quella bocciatura così strana? «Provai una fortissima delusione, ma non mi persi d’animo e mi rivolsi al Tar del Lazio, evidenziando l’ingiustizia subita. In particolare nel ricorso col mio legale ponemmo l’accento sul paragone tra la mia produzione scientifica e quella (nettamente inferiore) di altri candidati dichiarati idonei. Peraltro, facemmo presente che il commissario straniero prof. Lopez Espadafor, componente della Commissione, aveva formulato nei miei confronti il miglior giudizio rispetto a quello reso su tutti gli altri colleghi candidati, e invece i quattro Commissari italiani mi avevano giudicato negativamente, evidentemente applicando il “metodo” emerso dalle vicende di cronaca. Peraltro, il commissario straniero era stato previsto per rafforzare le garanzie di trasparenza e correttezza della procedura».

Il Tar almeno le rese giustizia…

«I giudici amministrativi nel 2016 hanno accolto il mio ricorso e una nuova commissione nazionale mi ha concesso l’abilitazione scientifica. Nel frattempo, per evitare che si potesse dire che mi ero abilitato grazie al Tar, mi sono sottoposto nel 2017 a una nuova procedura di idoneità nazionale e ho ottenuto per la seconda volta l’idoneità allo svolgimento delle funzioni di professore ordinario».

Adesso, dopo aver già ottenuto quello che ampiamente meritava, alla luce dello scandalo nazionale appena esploso, quale è la sua riflessione? Perché la logica di casta e il nepotismo sono ancora così forti negli atenei d’Italia?

«Mi spiace che siano accadute vicende del genere, perché gettano ombre sul mondo universitario e nel contempo mortificano l’impegno e il lavoro fatto per tanti anni da chi come me non appartiene ad alcuna “cordata” di docenti universitari, e sol per questo deve segnare il passo ingiustamente. Quanto al nepotismo alcune università, tra cui quella di Messina, stanno adottando delle misure che vietano l’assunzione di parenti dei docenti incardinati nei dipartimenti. Naturalmente, per quanto valida, è anch’essa una regola aggirabile concorrendo in altre università».

Lei che da oltre vent’anni, dal suo primo dottorato, è nel mondo dell’università italiana, non pensa che, come affermato dal commissario anticorruzione Cantone, occorrerebbe nelle commissioni di concorso degli atenei la presenza fissa di un autorevole componente esterno?

«Sì. Questo eviterebbe il verificarsi di situazioni estreme come quella che mi ha visto coinvolto, ma questa opzione potrebbe non essere del tutto risolutiva perché la valutazione del percorso accademico e del merito delle pubblicazioni scientifiche dei candidati a rigore non può che essere fatta da un esponente dell’accademia. Comunque, probabilmente, nel mio caso la presenza di un componente esterno avrebbe prodotto effetti positivi».

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