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Il clan come un’araba fenice

Il clan come un’araba fenice

Il clan di Mangialupi è stato affossato da più inchieste. Ma dopo ogni colpo ha saputo rinascere dalle proprie ceneri e riorganizzarsi. Prova ne è l’operazione “Dominio”, con cui la Guardia di finanza ha stroncato attività imprenditoriali ritenute illecite che ruotavano attorno alla figura di Domenico La Valle.

L’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Liliana Todaro, va avanti spedita, sulla base degli elementi che raccolti dal Gico della Guardia di finanza. E dopo la chiusura delle indagini preliminari il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio per vecchi e nuovi presunti appartenenti al sodalizio del quartiere di Gazzi. Si attende adesso la fissazione dell’udienza preliminare davanti al gup.

Questi i destinatari del precedente avviso con cui la dott.ssa Todaro ha concluso la fase del procedimento precedente al processo: Domenico La Valle, Alberto Alleruzzo, Francesco Alleruzzo, Giovanni Aspri, Francesco Benanti, Carmelo Bombaci, Nunzio Corridore, Santo Corridore, Francesco Crupi, Paolo De Domenico, Domenico Galtieri, Giuseppe Giunta, Francesco Laganà, Giovanni Megna, Grazia Megna, Giancarlo Mercieca, Francesco Russo, Gaetano Russo, Antonino Scimone, Mario Schepisi, Alfredo Trovato, Salvatore Trovato, Davide Romeo, Giovanna Aloisi, Rosario Aloisi, Salvatore Arena, Antonio Caliò, Nunzio Cangemi, Giuseppe Leonardi, Salvatore Utano, Giuseppe Caleca e Giuseppe Luppino.

A capo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, vi erano Domenico La Valle, titolare di un bar a ridosso dello stadio “Celeste”, e Alfredo Trovato. Il primo è ritenuto il coordinatore delle attività illegali della cosca malavitosa, che affondavano le radici nel settore imprenditoriale. Dell’aspetto operativo, invece, si sarebbero occupati i fratelli Trovato. Le Fiamme gialle hanno accertato che La Valle, avvalendosi di uomini di fiducia (individuati in Paolo De Domenico e Francesco Laganà) si occupava del noleggio di slot machine e della gestione di una sala giochi, di un distributore di carburanti sul viale Gazzi e di una tabaccheria ubicata in via Taormina. Inoltre, servendosi di prestanome (la moglie Grazia Megna, Antonio Scimone, Giancarlo Mercieca e Francesco Benanti) aveva nella sua disponibilità svariati immobili, formalmente intestati agli indagati con l’obiettivo precipuo di evitare eventuali provvedimenti di sequestro o di confisca.

Con l’operazione denominata “Dominio”, evocativa del ruolo egemone esercitato dal sodalizio di Mangialupi in un’ampia porzione di territorio di Gazzi, le Fiamme gialle hanno scardinato il nuovo assetto del sodalizio. I cui affiliati, avvalendosi della forza intimidatoria e del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà, avrebbero commesso «plurimi delitti contro la persona e il patrimonio acquisendo in modo diretto e indiretto la gestione o il controllo di attività economiche».

Il blitz dei militari, scattato il 27 marzo scorso, è sfociato in 21 ordinanze di custodia cautelare in carcere, oltre alla notifica di 3 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria. Inoltre, sequestrati beni per circa 10 milioni di euro. 

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