«Un’azione qualificata da un’inusitata carica di violenza, spia dell’allarmante personalità degli indagati».
Ecco come il gip Eugenio Fiorentino sintetizza tutto. Alessandro Cutè e Gianfranco Aloisi, accusati di aver sparato davanti al “M’Ama” e ferito gravemente la 34enne Tania restano in carcere.
E l’accusa diventa più “pesante” per loro, perché secondo il gip l’intera vicenda rientra nell’ambito del tentato omicidio e non delle lesioni gravi, come aveva ipotizzato la Procura.
In ogni caso con il provvedimento che il gip ha depositato ieri mattina poco prima di mezzogiorno, ha convalidato il fermo disposto dal pm Antonio Carchietti subito dopo i fatti e le indagini dei carabinieri della Compagnia Messina Centro.
Quindi custodia cautelare in carcere per i due, che adesso hanno due accuse principali da cui difendersi: tentato omicidio - aggravato dal travisamento con il casco e dall’aver agito in più persone -, e porto illegale di arma, in questo caso la pistola calibro 38 che oltretutto non si trova più.
Adopera parole durissime il gip Fiorentino nella sua ordinanza a carico di Cutè e Aloisi: «... particolarmente significativa appare la gravità dell’azione commessa, che si presenta come un’azione qualificata da un’inusitata carica di violenza, spia dell’allarmante personalità degli indagati: nel caso in esame la scriteriata reazione alla quale essi si sono abbandonati - foriera, almeno in potenza, di conseguenze drammatiche per l’incolumità fisica della vittima, colpevole soltanto di aver trascorso una serata all’interno di un locale pubblico -, non può dirsi legata ad alcun rapporto di (financo) sbiadita “proporzionalità” rispetto alla causa immediata (il litigio che ha frapposto i due complici qualche minuto prima rispetto alla consumazione del fatto e collegato al negato accesso al locale)».
Poi il gip Fiorentino spiega perché restano in carcere: «... un’adeguata tutela delle suddette esigenze può essere garantita unicamente con la sottoposizione dei predetti alla misura della custodia in carcere, atteso che la spinta delinquenziale dagli stessi manifestata non appare contenibile con alcuna misura cautelare diversa dal più severo tra i provvedimenti di rigore: essa risulta peraltro commisurata alla natura del fatto commesso ed all’entità della pena che agli stessi, all’atto della definizione del procedimento, potrà essere comminata».
Scrive ancora il gip che ha dovuto tenere conto «... della natura violenta tanto del Cutè che dell’Aloisi, della loro incapacità di frenare i propri istinti ed il conseguente concreto timore che essi possano reiterare la condotta», e questo «... impone di reputare inidonea a fronteggiare le ravvisate esigenze di tutela ogni altra misura e, in specie, quella degli arresti domiciliari».
Ma c’è un altro particolare del comportamento post-ferimento tenuto da Aloisi, che viene evidenziato dal gip ed è agli atti dell’indagine dei carabinieri, ed è ritenuto fortemente indiziante. Eccolo: «... non può trascurarsi altresì quanto riferito da... ossia di aver ricevuto intorno alle ore 8.30 del 22 luglio, un messaggio vocale sull’applicativo whatsapp da parte dell’amico Aloisi Gianfranco, con il quale questi gli chiedeva di prenotare per suo conto un hotel a Milazzo per due persone e successivamente, intorno alle 12.30, ulteriori messaggi da parte del predetto, il quale lo informava della necessità di disdire la prenotazione in quanto aveva avuto “un grosso problema”; di aver quindi provato a contattare a più riprese l’amico, senza tuttavia riuscirci».
Perché Aloisi ha bloccato tutto a Milazzo? Evidentemente perché, a sei ore dall’agguato, invece di passare un fine settimana sulla zona tirrenica come preventivato, era dovuto fuggire per nascondersi insieme a Cutè dopo il raid a colpi di pistola.