Sembrava chiuso il cerchio sull’omicidio di Roberto Scipilliti, il vigile del fuoco cinquantasettenne di Roccalumera trovato cadavere qualche mese fa in contrada Rina, nelle campagne di Savoca. Invece, carabinieri e Procura, dopo aver assicurato alla giustizia i presunti responsabili della spedizione di sangue, hanno scavato ancora più a fondo nella torbida vicenda. Fino ad individuare una terza persona che in qualche modo si sarebbe ritagliata un ruolo.
Oltre ai messinesi Fabrizio Ceccio e Fortunata Caminiti, risulta coinvolto pure Letterio Scionti, 51 anni, anch’egli nato nella città dello Stretto. È quanto emerge dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dal pubblico ministero del Tribunale di Messina Antonella Fradà. Che contesta al cinquantunenne, difeso dall’avvocato Valerio Antonino Miserendino, il reato di favoreggiamento.
Stando al capo d’imputazione, dopo la commissione del delitto da parte di Ceccio e Caminiti, li avrebbe aiutati ad eludere le investigazioni dell’Autorità. Sentito dai militari dell’Arma, avrebbe riferito «di aver contattato Scipilliti il 5 gennaio 2017, alle 14, concordando con lui di incontrarsi a Santa Teresa di Riva», nei pressi di un bar; che la vittima, giunta sul luogo, avrebbe «ricevuto una telefonata (alle 14.38) da persona che Scionti non conosceva e, dopo avergli chiesto di aspettarlo, si era diretto verso una autovettura Fiat Panda gialla (che Scionti dichiarava di non aver visto sopraggiungere), a bordo della quale vi erano due persone», che lo stesso Scionti «dichiarava di non essere in grado di riconoscere, e su tale autovettura era salito allontanandosi insieme a loro». Inoltre, ha detto «che dopo aver atteso Scipilliti per qualche minuto, lo chiamava al telefono cellulare alle 14.44, ma, non ottenendo risposta, decideva di andare via». E con riferimento ai contatti telefonici del 5 gennaio scorso «con “Maurizio”», dallo stesso Scionti «identificato in Ceccio, che tali contatti erano diretti a concordare un appuntamento che non andava a buon fine, poiché Ceccio gli avrebbe riferito di non poterlo incontrare in giornata».
Eppure, le cose sarebbero andate diversamente, poiché «Scionti era giunto a Santa Teresa di Riva a bordo della propria autovettura contestualmente a Fabrizio Ceccio e Fortunata Caminiti, che viaggiavano invece a bordo della Fiat Panda di colore giallo, poco dopo le 14.03». Non solo: sarebbe emerso che «Scipilliti riceveva una telefonata in cui Scionti dichiarava di aver assistito prima di raggiungere S. Teresa di Riva, e che risultava essere stata effettuata da utenza in uso a Ceccio, quindi prima di incontrarsi con Scionti che all’invio di tale telefonata da parte di Ceccio verso l’utenza di Scipilliti avera assistito». E ancora: «Scionti, tramite tre messaggi inviati all’utenza in uso a Ceccio alle 13:29.10, 13:29.30 e 13:31.15 aveva a questi comunicato che si stava avviando verso di lui per raggiungerlo in data 5 gennaio 2017».
Ben più pesanti le accuse a carico di Ceccio e Caminiti, difesi entrambi dall’avvocato Salvatore Silvestro: omicidio e occultamento di cadavere, in concorso. L’uomo, che al momento dell’omicidio era latitante, e la donna avrebbero pianificato ed eseguito insieme il delitto. Dal noleggio, con documenti falsi, della Panda gialla, all’attivazione, sempre con falsa identità, di un’utenza telefonica utilizzata poco prima dell’assassinio del vigile del fuoco, fino all’occultamento del corpo privo di vita.
La storia ha avuto inizio il 4 gennaio, giorno in cui Ceccio e Caminiti hanno noleggiato la vettura per due giornate. Il giorno seguente, nel primissimo pomeriggio, i due hanno avuto un appuntamento con una quarta persona, Scionti appunto. Che è uscito di scena nel momento in cui il pompiere è salito a bordo dell’utilitaria con quelli che di lì a poco sarebbero diventati i suoi aguzzini.
Ucciso in auto
Roberto Scipilliti è stato giustiziato lo scorso mese di gennaio, quando era ancora in auto, con un colpo di pistola alla testa esploso da dietro e verosimilmente in maniera improvvisa. Tanti dettagli sono sfuggiti ai presunti esecutori del delitto. Quello più macroscopico, il vano portaoggetti della Fiat Panda trovato ancora sporco di sangue dalla ditta di noleggio al momento della consegna dell’auto, insieme al parabrezza rovinato. Altro particolare: uno dei cellulari in uso alla coppia, quello da cui è stata effettuata l’ultima telefonata a Scipilliti, probabilmente per confermare l’appuntamento, mostrava tracce di sangue sullo schermo. Ancora oggi, comunque, non sono stati chiariti alcuni interrogativi. Chi ha premuto il grilletto? Dal capo d’imputazione si evince che Ceccio e Caminiti avrebbero «cagionato la morte di Scipilliti, sparando al suo indirizzo, con una pistola semiautomatica modello Sig Sauer calibro 9, un colpo alla nuca». Nebuloso pure il movente dell’omicidio: interessi illeciti comuni tra assassini e vittima, oppure la risposta sarebbe da cercare nell’ambiente delle chat erotiche e degli appuntamenti a pagamento?
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