“Vinafausa” di Simone Corso, interpretato dallo stesso Corso, da Francesco Natoli, e da Michelangelo Maria Zanghì che è anche il regista, chiuderà lunedì 31 luglio, alle ore 21 (con replica martedì 1. agosto) “Il Cortile – Teatro Festival”, la manifestazione di cui è direttore artistico Roberto Bonaventura con la collaborazione di Giuseppe Giamboi.
Il Festival ha avuto un successo che è andato oltre ogni previsione, costringendo ogni volta gli organizzatori ad approntare una seconda replica in fretta e in furia. Merito anche della splendida, e finora poco conosciuta, location del cortile del palazzo settecentesco Calapaj–D’Alcontres, in strada San Giacomo, accanto al Duomo.
«Sicuramente il successo è stato determinato da un concorso di circostanze – dice Bonaventura – ma si è dimostrato che a Messina c’è una domanda non piccola di un certo tipo di teatro, quello che affronta la realtà senza nascondere nulla, nel privato e nel pubblico, anche quando un velo di umorismo riesce a far sorridere gli spettatori».
“Vinafausa” – come è spiegato nelle note di autore e regista - non è una storia da raccontare, ma piuttosto un insieme di indizi che, messi insieme, indagano su chi siamo stati, chi siamo e chi vorremmo essere.
La vicenda di Attilio Manca, giovane urologo di Barcellona (Messina), morto nel 2004 in circostanze ancora poco chiare, è uno dei tanti “piccoli – grandi” casi di cronaca che s’intrecciano con gli ultimi vent’anni della nostra Storia. Attilio, brillante medico trentaquattrenne, fu trovato senza vita nel suo appartamento, a Viterbo, dove lavorava presso l’ospedale Belcolle, con due buchi nel braccio sinistro. Overdose si disse. Suicidio, subito dopo. Ma nonostante la (presunta) verità che è stata accertata nel corso delle indagini e del processo, affiorano dalla coscienza fantasmi che fanno rumore e che pongono altre domande, e propongono altre verità.
Troppe le cose che non tornano, troppi i sospetti, troppe le coincidenze; troppo sangue per essere davvero un suicidio. Forse la morte di Attilio, allora, non è solo uno dei tanti casi che rimangono con un alone di mistero, ma un tassello di qualcosa di più grande che ha fatto dell’Italia ciò che è oggi, della Storia un mistero, degli italiani di prima dei complici, degli italiani di oggi dei dimentichi.
Ma tutto sta in una scelta: bene o male. Non è così netta, non può esserlo, ma può nascere una consapevolezza anzitutto, prima dell’attesa, prima del non sapere. Sulla morte di Attilio Manca sembra gravare un'ombra nera, nerissima: Bernardo Provenzano.
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