Gli incendi che hanno devastato le nostre colline, quella cintura verde che dovrebbe proteggere la città e che ora, distrutta e ridotta in cenere, rappresenta una reale minaccia, perché le conseguenze dei roghi di questo luglio si vedranno, ahinoi, quando arriveranno le stagioni della pioggia.
Il fallimento della società che porta il glorioso nome dell’Acr Messina, l’ennesima dimostrazione di come il calcio possa diventare lo specchio del declino di un’intera comunità.
Il silenzio più totale calato sull’Autorità portuale, dopo la scadenza della proroga del 30 giugno, che conferma la volontà assassina del Governo nazionale – con evidenti complicità della classe politica locale – che ha deciso di “regalare” i porti di Messina e Milazzo a quello di Gioia Tauro.
Bellissima, la città s’imbruttisce ogni giorno di più. Ricca di potenzialità sconosciute a tanti altri territori, getta tutte le occasioni che ha ai soffi dello scirocco o del maestrale. E mentre vive di annunci e di progetti, si spopola come fosse uno sperduto borgo montano. Il welfare cittadino è affidato solo alla sopravvivenza delle pensioni dei nonni, i bilanci familiari sono ridotti allo stremo, anche se poi lidi e ritrovi sono sempre pieni e questo fa venire qualche dubbio sulla “qualità” del denaro che circola a Messina. Il condizionamento dei poteri criminali, pur se con forme diverse rispetto ad altre città, è pesantissimo e lo confermano i risultati dell’ultima inchiesta giudiziaria, l’Operazione Beta, che ha disvelato i meccanismi di una cellula di Cosa Nostra in riva allo Stretto, agganciata alla mafia catanese dei Santapaola.
Il dibattito politico è inesistente o, quando si accende, è di un livello infimo. Si guarda sempre il dito, mai la luna. La sempre più evidente inadeguatezza del pacifista tibetano diventato sindaco per caso è ormai un alibi permanente, dietro il quale coloro che hanno per decenni fatto parte di governi nazionali e regionali si nascondono, per ripresentarsi puliti e immacolati.
Le prossime elezioni regionali saranno il festival dell’ovvio, in un clima da depressione spinta, e lo si vedrà dalle percentuali di astensionismo che potrebbe dilagare, a conferma della disaffezione e del disorientamento della gente.
Pensavamo fosse il Ponte sullo Stretto la panacea dei mali o il male assoluto. Per decenni abbiamo ipotecato il futuro della città aspettando il “Godot” che non è mai arrivato e, nel momento in cui si è fermato l’iter di costruzione della grande opera, ci siamo resi conto che forse era l’unica chance possibile per invertire la rotta. Avevamo paura che quel Ponte collegasse, come è stato detto, “due cosche”, ma ‘Ndrangheta e Cosa Nostra hanno fatto lo stesso gli affari, sulle piccole opere, sugli appalti anche modesti, sulle forniture, sui servizi alle imprese, con metodi sempre più subdoli e apparentemente legali.
E oggi siamo la città del Nulla. Ed è una rabbia infinita doverlo ammettere, sapendo di abitare in uno dei luoghi più belli e magici del mondo. Ma siamo stati in grado di non assicurare il futuro ai nostri figli e quando li vediamo partire, generazione di emigranti 2.0, siamo noi i primi a sperare che non tornino più.
Non c’è, per questo, simbolo più appropriato della cenere dopo il fuoco. Del verde ucciso dal grigio. Di un orizzonte nero, come il tunnel dove Messina si è andata a cacciare, senza trovare, da troppi anni, una qualsiasi via d’uscita.