Salgono a trenta gli arresti eseguiti dai militari dell’Arma nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Beta”. All’appello mancava solo l’imprenditore messinese Carlo Borella, all’estero per motivi di lavoro. Appresa le notizia dell’ordinanza di custodia cautelare a suo carico, ieri sera è rientrato in Italia. Intorno alle 19.30, è atterrato all’aeroporto catanese di Fontanarossa, proveniente dal Congo. Poi, accompagnato dai suoi difensori, gli avvocati Alberto Gullino e Isabella Barone, si è consegnato ai carabinieri.
L’ex presidente dell’Ance è destinatario della misura degli arresti domiciliari, con applicazione del braccialetto elettronico, in quanto accusato, «al fine di eludere le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale, di intestazione fittizia a Fabio Lo Turco, Salvatore Piccolo e Filippo Spadaro, della società “Cubo spa” e della sua controllante “Brick srl”, di fatto amministrate da Biagio Grasso, Vincenzo Romeo e Carlo Borella, con il concorso dell’avv. Andrea Lo Castro». Con l’aggravante di «aver agito avvalendosi delle condizioni e al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa Santapaola-Romeo», si legge nel capo d’imputazione.
Un sodalizio, quello di Cosa nostra messinese, che agiva spesso “a fari spenti”, senza azioni eclatanti, quali spedizioni punitive, fatti di sangue, imposizione del pizzo. Meglio non dare nell’occhio, quindi, e sistemare qualcuno nelle società gestite dal gruppo o concedergli favori di altra natura. Eppure, l’ordinanza firmata dal gip Mastroeni ricostruisce alcuni episodi “violenti”, come «L’estorsione Giannetto», considerata «pomo della discordia». Sulla vicenda, tra le altre cose, si è soffermato in conferenza stampa, al Comando provinciale carabinieri di Messina, il comandante del Ros, il generale Giuseppe Governale. «Un imprenditore del settore alimentare, Nicola Giannetto, va in difficoltà e adisce le vie legali contro il Consorzio Cic, Cooperativa italiana catering – spiega –. Si contattano elementi di Cosa nostra messinese e tutto viene messo a posto nel corso di una riunione a Messina. Tramite i Romeo». In questa faccenda, la vittima sarebbe stata costretta a corrispondere a Italo Nebbiolo e Mauro Guernieri, presidente e vice della Cic, «930mila euro a titolo di corrispettivo per le forniture effettuate a favore della sua società e a rinunziare all’azione di risarcimento danni intrapresa da Giannetto, a fronte della disponibilità di quest’ultimo a riconoscere un debito di 700mila euro». In una conversazione telefonica Guernieri ha rivolto alla controparte le seguenti minacce: «Se scendo a Messina ti faccio scavare la fossa con la tua vanga, non hai neanche idea con chi ti sei messo».