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Lo Castro e Cucinotta
respingono le accuse

Lo Castro e Cucinotta respingono le accuse

La “mafia 2.0” ha attecchito a Messina abbracciando differenti settori dell’economia reale. E visto che in gioco c’erano grossi affari, Cosa nostra sarebbe riuscita a includere nel suo sistema anche alcuni “colletti bianchi”. L’inchiesta “Beta”, condotta dai carabinieri del Ros e della Dda peloritana, ha ricostruito i ruoli specifici di due professionisti messinesi, entrambi arrestati e rinchiusi nel carcere di Gazzi. Tutti e due, ieri, sono stati impegnati nel faccia a faccia col gip Salvatore Mastroeni, il quale ha firmato l’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, l’avvocato Andrea Lo Castro non si è sottratto al confronto col giudice. L’avvocato Nino Favazzo, in una nota spiega che il suo assistito «per oltre due ore ha risposto alle domande del gip e dei pm, fornendo una diversa chiave di lettura dei fatti che gli vengono addebitati, richiamando, a sostegno delle proprie affermazioni, in maniera puntale e lucida, il contenuto di documenti ed atti pubblici. Già nella giornata di lunedì – ha aggiunto Favazzo – produrrò al pm e al gip gli atti richiamati nel corso dell’interrogatorio di garanzia, alcuni dei quali già in quella sede esibiti, richiedendo, all’esito del loro esame e delle dichiarazioni rese dall’indagato, la rivalutazione del quadro indiziario fin qui ritenuto sussistente».

Stando ai capi d’imputazione, Lo Castro, senza essere organicamente partecipe, «traendone vantaggi contribuiva al perseguimento degli scopi dell’associazione di tipo mafioso promossa e diretta dai Romeo, collegata al clan Santapaola-Ercolano di Catania». In particolare, avrebbe messo a disposizione la proprie conoscenze e competenze per consentire il riciclaggio di denaro proveniente da reati, la falsa intestazione di beni e l’elaborazione di strategie per la sottrazione, in frode ai creditori, della garanzia patrimoniale sulle obbligazioni, prestandosi in prima persona anche a fungere da prestanome per l’intestazione di beni.

Anche l’ingegnere Raffaele Cucinotta, funzionario del Comune di Milazzo e all’epoca dei fatti in servizio a Palazzo Zanca, ha negato gli addebiti mossi dal procuratore Sebastiano Ardita e dai sostituti della Direzione distrettuale antimafia Maria Pellegrino, Liliana Todaro e Antonio Carchietti.

L’indagato, assistito dall’avvocato Salvatore Silvestro, si è detto estraneo alla presunta turbativa d’asta e ha specificato di non avere mai ricevuto somme di denaro in relazione all’episodio di corruzione contestato. In base alle accuse, l’ing. Cucinotta, quale dipendente dell’Ufficio urbanistica del Comune di Messina, avrebbe riferito notizie riservate su una gara, promosso un prolungamento del termine di presentazione delle offerte e sarebbe intervenuto «per evitare l’esclusione di una ditta dalla gara». Inoltre, avrebbe beneficiato dell’assunzione di persone vicine a suoi familiari.

Sempre ieri, hanno scelto, invece, la strada del silenzio le altre persone rimaste invischiate nell’operazione “Beta”, ossia Carmelo Laudani, Italo Nebbiolo, Giuseppe Verde e Salvatore Galvagno. Negli interrogatori impegnati pure gli avvocati Tancredi Traclò, Nunzio Rosso, Antonello Scordo, Antonio Albo e Angelo Colosi.

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