La Procura ha aperto un fascicolo legato alla gestione giudiziale del patrimonio confiscato all’imprenditore Sarino Bonaffini, in origine ben 450 milioni di euro, ritenuto dalla Distrettuale antimafia “utilizzatore finale” del denaro del clan Mangialupi. Nelle scorse settimane uno dei difensori dell’imprenditore e noto grossista ittico, l’avvocato Salvatore Silvestro, aveva presentato un esposto con alcune fatti circostanziati, corredato da una serie di documentazioni, per conto di Elvira Bonaffini, congiunta dell’imprenditore.
Il legale aveva in prima battuta ricostruito la vicenda: «... con decreto emesso dal Tribunale di Messina-sezione Misure di prevenzione nel procedimento di prevenzione n. 04/11 R.g.m.p. è stato disposto il sequestro e, successivamente la confisca, della Metropoli s.r.l. di cui ero l’amministratore», e «... prima del sequestro nella mia qualità avevo stipulato un preliminare di vendita per l’appartamento sito nel costruendo complesso edilizio di Messina Ss 114, ex Grissinificio Falcone, con la signora M.C. per l’importo di euro 215.000».
Secondo quanto ricostruisce il legale nell’esposto, per conto di Elvira Bonaffini, «... nel momento in cui è intervenuto il sequestro l’appartamento in sequestro era completamente ultimato... con spese ulteriori affrontate dalla Mastronardo».
Ma ecco le novità successive denunciate nell’esposto: «... negli ultimi giorni la sottoscritta è venuta a conoscenza che il predetto immobile è stato alienato dagli Amministratori Giudiziari all’arch. C.S.M. per l’importo complesso di euro 94.000 iva compresa; che in detto importo è, altresì compreso il trasferimento di un posto auto coperto, non compromesso al Carbaronaro».
Nell’esposto si sostiene inoltre che «... indipendentemente dalla notevole e ingiustificata differenza tra il prezzo di vendita convenuto con la M. e quello corrisposto dall’arch. C.S.M., circostanza di per sé sufficiente a imporre accertamenti, occorre evidenziare che l’arch. C.S.M. risulta essere un professionista assunto dall’Amministrazione Giudiziaria e regolarmente stipendiato dalla stessa; che, conseguentemente, l’Amministrazione e il Carbonaro hanno posto in essere una operazione palesemente antieconomica e, soprattutto, “in conflitto di interessi” o, per meglio dire, finalizzata a garantire determinati interessi».