Oggi il ministro dell'Interno Marco Minniti sarà a Torino e, dopo aver fatto il punto sulle attività di sicurezza, incontrerà anche il giovane Federico Rappazzo, militare e studente di infermieristica, immortalato mentre col corpo faceva da scudo al piccolo Kelvin, il bimbo cinese di sette anni travolto dalla folla in preda al panico a piazza San Carlo durante la finale di Champions League.
Federico è originario di una minuscola frazione di Castroreale, nel Messinese, che si chiama Bafia e conta meno di 650 anime. I suoi genitori sono entrambi nati e cresciuti nel piccolo centro, il papà, Santo, è maresciallo dell'Esercito, mentre Federico è nato a Barcellona, ma ha quasi sempre vissuto a Torino. È legatissimo alla sua terra dove torna ogni volta che può, quasi sempre d'estate. Ma, soprattutto, è legatissimo alla sua famiglia, in particolare alla nonna che abita ancora nel paesino della zona tirrenica.
«Sono orgoglioso di quello che ha fatto – ha commentato ieri il papà – spero che continui sempre su questa strada. Ma il gesto non mi sorprende, Federico è stato da sempre un ragazzo posato e responsabile, in questo l'Esercito lo ha forgiato sicuramente e anche il fatto di essere cresciuto in una famiglia di militari, di avere vissuto le caserme».
Isak Nokho, Mohamed Diop e Federico sono stati gli uomini giusti al momento giusto: quelli che tra il panico generale hanno mantenuto sangue freddo e tanta umanità.
In piazza per la squadra del cuore, Federico ha seguito la sua passione per il calcio e per la Juve, un “amore” nato sin da quando era piccolo e cresciuto assieme a un particolare istinto, quello di aiutare gli altri. Al punto tale che oltre ad essersi arruolato a 19 anni nell'Esercito italiano, Federico ha deciso di sviluppare un'altra attitudine: assistere gli altri. E così che ha deciso di intraprendere il corso di studi in infermieristica alle Molinette, dove gli manca ancora qualche materia alla laurea.
Un diploma al liceo scientifico di Torino, poi l'arruolamento nel 2008 in ferma prefissata di un anno ed oggi il giovane è in forza alla Brigata Alpina Taurinense. «Ero in viaggio per tornare a Bafia quando ho saputo quello che stava accadendo a Torino – continua a raccontare il papà – sapevo che Federico era lì e l'ho chiamato subito, lui mi ha detto solamente “Sto bene, tranquillizzati. Sto aiutando gli altri” e poi ha staccato».
Quel secondo in cui Federico ha fatto da scudo a Kelvin è diventato un'immagine virale, ma è tutto quello che è successo dopo che dà il senso di “quell'abbraccio”. «Fortunatamente Federico in quel frangente sapeva come muoversi – racconta lo zio Domenico Rappazzo, commissario di polizia – . Ci ha raccontato che aveva sollevato il capo del bambino, la sua paura è stata che quel bimbo gli morisse tra le braccia, ma ha avuto la freddezza di portarlo vicino ad un'ambulanza e di seguirlo fino in ospedale, dove è rimasto quasi fino alle 4 del mattino».
«Non penso di aver fatto nulla di eccezionale. Ho notato un bambino che soffriva e gli ho dato una mano. Con me c’erano altre persone, non ero solo. La cosa più importante e urgente era portarlo in ospedale. Ho cercato di farlo in sicurezza. Ora spero che tutto vada bene». Sono state queste le prime dichiarazioni rese da Federico subito dopo la notte di piazza San Carlo.
Un gesto “normale”, quella normalità capace di rendere il mondo migliore.
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