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È un consiglio comunale di assenteisti

È un consiglio comunale di assenteisti

L’estenuante balletto su MessinaServizi potrebbe concludersi all’inizio della settimana prossima. Lunedì il consiglio comunale tornerà a riunirsi, è probabile che si verifichi l’ennesima caduta del numero legale e che si voti, poi, martedì quando basteranno sedici presenti e nove favorevoli affinché la delibera passi. Ma al di là di come andrà a finire, queste settimane hanno messo in mostra un quadro desolante di un consiglio comunale che oggi si trincera dietro il paravento della “strategia politica”, quando invece quelle a cui si è assistito sono cattive abitudini che l’aula si trascina pressoché dall’inizio del mandato.

Cattive abitudini che si sono accentuate dal giorno dopo il momento spartiacque della mozione di sfiducia “fallita”. Da allora (era il 15 febbraio), esclusi due question time – sedute in cui si discutono le interrogazioni ma nulla viene messo in votazione – si sono svolte 20 sedute di Consiglio. Metà di esse si sono chiuse con la caduta del numero legale, ma in almeno un altro paio ci sono stati rinvii “programmati” proprio perché la caduta del numero era imminente.

Una tendenza che è andata crescendo quando in aula è giunta la “maledetta” delibera sulla MessinaServizi: sei volte è caduto il numero legale, in altre due occasioni la seduta è stata sospesa perché, facendo due conti, non c’erano più abbastanza presenze. E come andiamo scrivendo praticamente dall’inizio del mandato, i nomi dei consiglieri più presenti e di quelli più assenti sono quasi sempre gli stessi. Con qualche sorpresa rispetto al passato, molte conferme e usanze – ad esempio quella di timbrare la presenza ma andar via prima di aver votato qualcosa – che nonostante il polverone di Gettonopoli non si sono mai sopite. E non c’è bisogno di sconfinare nel penale: Gettonopoli, a prescindere da come andrà a finire il processo, avrebbe dovuto suggerire una impennata di orgoglio, una virata etica nelle abitudini d’aula. Macché, tutto come prima, forse anche peggio.

Basta guardare certi numeri. Ci sono veri e propri recordman. Spulciando i verbali delle 20 sedute post-sfiducia, spiccano ad esempio le 16 assenze (l’80% o giù di lì) di Santi Sorrenti, del gruppo Dr. Per assenze intendiamo il numero delle volte in cui il nome del consigliere, nei verbali, manca sia all’appello iniziale sia alle votazioni. Di MessinaServizi, in aula, Sorrenti non ha mai discusso, perché da sei sedute risulta assente. Ancor più clamoroso, se vogliamo, il caso di Nicola Cucinotta: le sue assenze sono 15, da metà febbraio in poi, ma soprattutto non timbra il cartellino da ben 11 sedute consecutive. Subito dopo troviamo, con 14 assenze, Pietro Iannello del Pd e Pierluigi Parisi di Forza Italia. Altro desaparecido è Mario Rizzo, capogruppo dei Centristi: 11 assenze, di cui le ultime sei consecutive. Nel suo gruppo risaltano anche le 12 assenze di Andrea Consolo, poi c’è un’altra assente cronica del consiglio comunale come Carmelina David: 10 assenze, a cui si aggiungono almeno 4 occasioni in cui, dopo aver iniziato la seduta, è andata via senza votare alcunché. Chi stupisce, invece, è uno dei consiglieri comunali che, fino al giorno della sfiducia, era risultato sempre tra i più presenti: il capogruppo di Forza Italia Pippo Trischitta, che ne ha collezionato ben 11. Salvo poi riapparire nelle ultimissime sedute “calde” di MessinaServizi.

Di contro, c’è da dare merito ai più virtuosi. Il più meritevole, con il pieno di presenze dal 15 febbraio ad oggi, è Carlo Abbate (Misto). Seguono la presidente Emilia Barrile, Cecilia Caccamo e Maurizio Rella (Cmdb) e Gaetano Gennaro (Pd) con una sola assenza. Meritano citazioni tra i più presenti anche Claudio Cardile, Daniela Faranda, Lucy Fenech, Francesco Pagano e Benedetto Vaccarino (che ha invertito il trend che lo vedeva, nella prima parte di mandato, tra i più assenti).

Andrebbero poi fatte valutazioni sui troppi casi in cui sì, alcuni consiglieri sono stati presenti, ma solo per una toccata e fuga, giusto il voto di un emendamento e di una delibera e via. Ma in questa landa di fantasmi, si finisce quasi per accontentarsi. Il che dice tutto.

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