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Al G7 la lezione “green” degli chef siciliani

Al G7 la lezione “green” degli chef siciliani

Mai come oggi, tra ristoranti stellati e chef superstar, il cibo sembra avere il fascino di un culto ammantato di mistero, seppure ormai inflazionato da una miriade di programmi televisivi dominatori dell’audience. Adesso, un po’ come negli spettacolari banchetti del Seicento barocco, la gastronomia va oltre il gusto e le tecniche di preparazione, diventa una “narrazione” sempre più mirata a impressionare e suscitare emozioni. La nutrizione, inoltre, nell’immaginario collettivo (ma talvolta pure nella ricerca scientifica) torna ad assumere il “sapore” del mito, il potere di un’ambrosia divina capace di guarire da tutti i mali e allungare la vita di noi miseri mortali. 

A pochi giorni dall’appuntamento del G7 nell’isola, provando a violare la riservatezza sui menù, abbiamo chiesto ai tre grandi chef siciliani che saranno all’opera a Taormina quali siano le portate “ideali” per questo attesissimo convivio. E perché non fantasticare che, inebriati da sapori sorprendenti e rare prelibatezze della natura, i sette “giganti” del mondo possano finalmente brindare con un calice di “nettare degli Dei” a un’intesa per contrastare i cambiamenti climatici? 

La salubrità dei piatti serviti in riva allo Ionio e la fragranza della stagionalità convincerà il “climato-scettico” Donald Trump a rivedere le sue controverse politiche sull'ambiente e la sicurezza alimentare? Sarà persuasivo il ricchissimo percorso di biodiversità che in Sicilia è segnato anche dai 44 presìdi “Slow Food”, dall'aglio rosso di Nubia alla Vastedda della valle del Belice? 

È un auspicio un po’ ardito. Ma ci spera anche Roberto Toro (chef del Grand Hotel “Timeo”, che il 26 maggio ospiterà la cena di gala offerta dal Quirinale ai capi di Stato e di Governo, ai rispettivi coniugi e ai capi delle delegazioni) consapevole che «la diminuzione dell'inquinamento globale e la produzione di alimenti sicuri e sani ridurrebbe drasticamente i danni alla salute provocati da alimenti contaminati o poveri di sostanze nutritive».

«È necessario –afferma lo chef di Palagonia - valorizzare le materie prime senza snaturare il cibo. Oggi, nella rincorsa spasmodica alla produzione, la maturazione della frutta viene artificialmente accelerata con l'utilizzo di agenti chimici. Così il raccolto, proposto anche fuori stagione, non ha più il gusto né le sostanze benefiche che dovrebbe contenere. Oltre a rifornirci da un piccolo coltivatore che garantisce la certificazione biologica, abbiamo anche creato all'interno dell'albergo un orto che, pur non soddisfacendo il fabbisogno annuale, ci consente di “giocare”con i clienti e realizzare dei piatti sul momento raccogliendo quello che gradiscono di più». 

Dello stesso parere è lo chef Pietro D’Agostino del ristorante “La Capinera” (una stella Michelin), secondo il quale un accordo globale metterebbe d'accordo gran parte dei clienti di tutto il pianeta. “Qualche mese fa – spiega il capocuoco taorminese - sono stato in tour nel Nord Europa, fermandomi in particolare nella Scandinavia e nei Paesi Bassi. Ho cucinato per importanti personalità del mondo della politica e ho constatato un comune interesse per la genuinità, caratteristica che colloca unanimemente i prodotti siciliani ai primi posti nel mondo. Ovunque ormai viene apprezzata una cucina “green” e “sostenibile”, un aspetto sul quale io stesso da un paio di anni ho puntato in modo ancora più deciso». 

C’è chi crede, come Massimo Mantarro (che di stelle Michelin ne ha conquistate due al ristorante Principe Cerami dell'hotel San Domenico, dove si terrà il pranzo di lavoro che si svolgerà al tavolo del vertice in tarda mattinata), che finora l'agricoltura biologica nel nostro Paese sia soltanto una “bufala”: «Non tutto ciò che è spacciato per genuino – sostiene il “maestro di cucina”nato a Calatabiano - lo è al cento per cento. È molto difficile avere reali garanzie dall'intera filiera. Pensi soltanto che, spesso, anche per coltivare l’orticello dietro casa si è costretti volenti o nolenti a ricorrere ai pesticidi. Io mi affido i particolare a un’azienda a conduzione familiare che ha recuperato sistemi di coltivazione caduti in disuso, garantendo prodotti dell’orto di ottima qualità». 

Ma non è difficile essere grandi chef e allo stesso tempo “semplici”? 

Toro: «Per essere grandi bisogna essere umili. Una regola che vale anche in cucina. Se propongo una ricetta a base di melanzane, ad esempio, posso creare un piatto articolato nella sua presentazione, valorizzando le caratteristiche della melanzana, ma senza alterarne la natura».

 D’Agostino: «Il mio motto è “il lusso della semplicità”, perché oggi anche fare un piatto di pasta al pomodoro ha una sua complessità, non è facile cucinare una pastasciutta con criterio. Oggi i clienti chiedono soprattutto la stagionalità e la purezza dei prodotti, una caratteristica che è un mio cavallo di battaglia perché ho sempre usato ingredienti del territorio. In particolare considero la mia una rilettura “light” della tradizione. Pensi ad esempio alle note speziate e agrodolci che un tempo davano un gusto pesante e molto spinto alle ricette dell'isola. Ecco, io continuo a ricorrere a quelle nuance e fragranze ma in modo molto più delicato. Io dico sempre che lo chef più bravo al mondo è la mamma, o la nonna. Perché loro un tempo con nulla creavano un menù perfetto, anche quando non avevano l’opportunità di conservare gli alimenti in frigorifero». 

Mantarro: «Semplice, ovviamente, non significa banale o sbrigativo. Vuol dire, invece, attingere alle antiche usanze in modo quasi spontaneo e istintivo. Per farle solo un esempio, in Sicilia, anche senza rendercene conto, spesso usiamo l’agrodolce, una tecnica non certo facilissima che abbiamo ereditato dagli arabi».

 Ancora è tutto “top secret” o in fase di programmazione, ma quali ingredienti non potranno mancare alla tavola dei sette Grandi? 

Toro: «Trattandosi per lo più di ospiti stranieri, non potranno non provare l’ebbrezza della nostra gastronomia isolana. A cominciare dai prodotti ortofrutticoli fino al pesce che qui, come in altri pochi posti, riusciamo a servire freschissimo. E, naturalmente, nessuno degli ospiti potrà resistere ai nostri dolci a base di ricotta, che sia un cannolo o una cassata». Ma, anche se lo chef non si “sbottona”, secondo indiscrezioni tra i piatti “in ballo” per la cena al Timeo ci sarebbero un risotto con astice, fiori di zucca e finocchietto selvatico e un tortino alle mele dell'Etna con composta di frutta e gelato al kefir. 

D’Agostino: «Per prima cosa proporrei i prodotti di stagione. Comincerei con un crudo di mare impreziosito dai gamberi di Mazara del Vallo e della polpa di riccio, un ottimo modo per far “assaggiare” il mare in tavola. A seguire una insalatina di crostacei con dei petali di cipolla. Penso a un mio piatto che è in menù alla Capinera che ho chiamato “Passeggiata per la Sicilia”, perché è un polpo alla brace che racconta un po’ l’isola attraverso i propri ingredienti: dalle mandorle di Avola ai pomodori di Pachino, dalle cipolle di Giarratana ai capperi di Salina, fino alle patate di Giarre. Un tripudio di sicilianità e un percorso di tutti i prodotti che sintetizzano la ricchezza della nostra terra. Non potrà mancare, nella stagione del pesce azzurro, la pasta con le sarde, rivista in chiave moderna. L’obiettivo sarebbe quello di raccontare ai leader del pianeta la storia della Sicilia, isola passata da innumerevoli dominazioni, dagli Arabi agli Angioni, dagli Spagnoli ai Normanni. Una narrazione che vorrei fare non solo attraverso i piatti, ma anche con le parole, perché oggi per capire la cucina bisogna apprendere da dove nasce un piatto. Dietro ogni ingrediente si nasconde la fatica dell’uomo, del contadino che coglie i cipollotti o le zucchine, le olive, il basilico, la mentuccia. I simboli di uno straordinario territorio». 

Mantarro: «Si tratterà di tante nazionalità messe insieme, quindi punterei su qualcosa di tipico e allo stesso tempo semplice, come una parmigiana con il cous cous. Dovendo occuparmi di un pranzo di lavoro opterei per un piatto unico e un dessert, non di più, mentre per la cena proporrei qualcosa in più, sempre però nel segno della leggerezza». 

Qual è, invece la ricetta che la rappresenta di più oggi? 

Toro: «Sicuramente il “Tonno in crosta di quinoa” con delle zucchine e una salsa all’arancia speziata. Una sintesi della nostra regione, dal Tonno di Favignana all’Arancia rossa di Sicilia, il tutto accompagnato dalla croccantezza di un seme che arricchisce i piatti di sapore e di un equilibrio meraviglioso». 

D’Agostino: «Mi piace molto un dentice che faccio con carciofi di Menfi, zuppa di finocchi, il tutto leggermente affumicato con il caffè. Un piatto che mi ricorda molto l’infanzia, le delizie che preparava mia nonna con la sua stufa a legna. È anche un modo per giocare con i piatti della memoria». 

Mantarro: «Sono tante le ricette che rispecchiano l’essenza della mia cucina, ma tra tutte la più significativa è “Calamari, come se fosse un risotto, con verde di basilico e salsa al nero di seppia leggermente piccante”. Non è altro che un calamaro sminuzzato e mantecato con crema di riso e pesto di basilico, ma in apparenza sembra proprio un risotto».

 E, per concludere, gli chef sono tutti d’accordo sul vino da proporre: sarà soprattutto siciliano e, in particolare, quello prodotto alle pendici dell'Etna: un Carricante per il bianco e un Nerello Mascalese per il rosso. Brindiamo, dunque, augurandoci che la cucina siciliana alla fine riesca a... salvare il mondo. O, quanto meno, contribuisca a renderlo un posto dal sapore migliore.

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