Altro che “dalla Cina con furore”. Dopo anni di arrivi, di investimenti e nuove attività, in città sembra esserci una controtendenza tra i cittadini cinesi. E poco c’entrano le minacce (vere o paventate) per la visita del Dalai Lama. Messina perde appeal anche per gli stranieri. I cittadini di nazionalità cinese iscritti all’anagrafe del Comune al 31 marzo sono 397. Un dato inferiore alle aspettative che, però, può voler dire nulla. In città, infatti, potrebbero esserci tanti “domiciliati” che hanno la residenza altrove. Il dato, però, che deve fare riflettere è quello relativo alle attività commerciali che insistono nella città: 216. Dato che, guardando all’intera provincia, arriva sino a 509 attività commerciali.
«Sono numeri che non mi stupiscono», racconta Chen Ruishu, giovane 28enne ormai integrata nel tessuto sociale di Messina disponibile a spiegarci il mutamento che sta avvenendo in una delle comunità più chiuse del territorio. «La crisi incide anche per i cinesi e quindi si va verso la periferia, Barcellona, Milazzo o Spadafora soprattutto, dove gli affitti sia dei negozi che delle case costano meno. A Messina, per una casa con due stanze, occorrono 600 euro, a Barcellona con 500 euro al mese affitti un appartamento con quattro stanze».
Ma l’aspetto che più salta all’occhio è come stia cambiando la percezione dell’economia messinese. Se prima, infatti, Messina era considerata una città in cui poter investire, adesso non è più così. «Ci sono tante attività di abbigliamento, c’è tanta concorrenza. I cinesi vanno dove c’è economia, si spostano dove ci sono meno negozi e meno concorrenza». Nessuna radice sul territorio, quindi pronti a muoversi appena il mercato va giù, insomma. Ma la destinazione di molti cinesi che abbandonano l’Italia, non solo Messina, è davvero lontana. «Stanno andando quasi tutti in Brasile», continua Ruishu che a Messina si divide tra l’attività di mediatrice culturale e di lettrice di madrelingua al liceo Seguenza. «Un po’ si segue anche la moda, per sentito dire magari. Io sono arrivata 14 anni fa con la mia famiglia che prima aveva una ditta di pelletteria a Firenze perché avevamo sentito dire che qui le cose andavano bene. Adesso è proprio il Brasile la meta preferita da tanti cinesi, c’è una popolazione maggiore, si spende di più, si guadagna più facilmente. Qui la crisi ha fatto diminuire tante spese. Personalmente conosco un mio connazionale che ha chiuso il negozio di abbigliamento che aveva in via Tommaso Cannizzaro ed è partito per il Brasile. Le piccole attività non vanno più, c’è troppa concorrenza. È più facile se hai un’attività grande con più prodotti».
È il passaparola a “promuovere” un luogo piuttosto che un altro e a pesare sull’Italia in generale è anche la burocrazia, oltre a una differenza di investimenti, costi e ritorno economico. «Per un cinese se entro un determinato numero di giorni non ha risposta a una istanza presentata a un ufficio pubblico equivale come se fosse accettata». Poi è la stessa Ruishu a farci notare un aspetto molto simile a quello che si riscontra con gli italiani. «A Messina di cinesi giovani ce ne sono pochissimi. O sono coppie o hanno figli piccoli. Al massimo si trova qualcuno al liceo, ma poi per l’Università vanno via. Qui ci sono poche possibilità già per gli italiani, fuori è possibile ottenere più facilmente anche un lavoro da commessa».