L’indagine sull’origine del rogo di Pace va avanti, la Squadra mobile continua a raccogliere testimonianze per trovare la causa prima del devastante incendio che ha incenerito 40 tonnellate di plastica, carta e cartone, distrutto 4 automezzi e fatto scattare nel comprensorio una potenziale emergenza da inquinanti chimici ed una serie di analisi dell’aria, e presto anche del suolo. Non ci sono, al momento, elementi che facciano propendere per una pista dolosa ma nessuna attività di riscontro viene trascurata per giungere alla verità. E capire se un rifiuto infiammabile impropriamente mescolato ai materiali della differenziata abbia potuto scatenare l’inferno, o se invece via abbia concorso una mano dolosa.
Anche ieri gli investigatori coordinati dal dirigente Franco Oliveri hanno ascoltato in Questura alcuni funzionari e dipendenti della società MessinAmbiente che prestano servizio nell’impianto di trattamento della frazione secca o esercitano il controllo sulle aree e i macchinari, le modalità di lavorazione, i dispositivi di sicurezza. L’indagine, che si avvale delle relazioni dei vigili del fuoco e dei rilievi della scientifica, non sarà di breve durata. La portata distruttiva dell’incendio è stata tale da impegnare anche ieri i vigili del fuoco in estenuanti operazioni di “smassamento” delle cataste e delle balle, spesso parzialmente bruciate e ancora covanti fumi e piccole fiammate. Non è stato ancora sentito dagli investigatori l’assessore comunale all’Ambiente, Daniele Ialacqua, il quale ha già espresso alla stampa, a cuore aperto, le sue preoccupazioni relative al contesto storico, gravido di tensioni talora anomale, al cui interno l’incendio del 18 aprile s’è inserito. Un doppio “transito”: anzitutto quello dalla vecchia società MessinAmbiente alla nuova ma non ancora attivata la “Messina Bene Comune” ma, soprattutto, l’altra transizione, dalla differenziata ai minimi, quel 5-7% che faceva vergognare i messinesi ad un riciclo che nell’ultimo mese censito ha raggiunto il 18%. Sia in termini di rispetto del territorio comunale che di sottrazione del Comune e della nostra comunità, a folli costi di smaltimento e trasporto, in lontane discariche: oltre 10 milioni l’anno.
Da questi temi a quello dell’emergenza ambientale, il passaggio è breve. Un impianto di compostaggio, ovvero una “pressa” per l’imballaggio, che in sé non ha nulla d’inquinante, va comunque gestito ed utilizzato al meglio, perché ogni eventuale violazione di regole o limiti crea un rischio. L’indagine servirà anche a comprendere se vi sia stata – in caso di evento fortuito – una carenza colposa. Qualcosa che avrebbe dovuto esserci, o esser fatta, per limitare i danni.
Intanto, va avanti, in parallelo, l’attività di accertamento affidata dalla Prefettura all’Arpa, l’Agenzia regionale di protezione ambientale.
«Con l’utilizzo di due campionatori, uno di cui disponiamo a Messina per le polveri sottili e l’altro inviatoci dalla sede di Catania per la diossina, abbiamo raccolto, il giorno seguente all’incendio vicino all’area dell’ex inceneritore – spiega il dirigente provinciale dell’Arpa, Antonio Marchese – un abbondante materiale d’analisi, grazie a una capacità di prelievo fino a duecento litri al secondo. Le analisi s’effettueranno al più presto a Palermo e a Messina, ci vorrà dunque ancora del tempo sia per questi risultati sia per gli ulteriori accertamenti che seguiranno su un territorio più ampio».
Si tratterà di un certosino lavoro scientifico: «Sulla base dei livelli d’inquinanti presenti nei campioni, e una volta ottenuti da MessinAmbiente i dati richiesti sulle quantità di materiale complessivamente bruciate – spiega ancora il dottor Antonio Marchese – elaboreremo, tenendo conto della direzione del vento durante l’incendio, uno “schema di dispersione” relativo a un territorio abbastanza ampio, e a quel punto faremo una serie di prelievi di terra dallo strato superficiale del suolo e quindi le relative analisi, anche per calcolare la ricaduta solida delle sostanze bruciate».
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