Lo ha intervistato “Il Mattino” di Napoli. È lui, il supertecnico del ministero dei Trasporti, l’artefice della relazione allegata al Documento di economia e finanza del governo Gentiloni. È lui, Ennio Cascetta, già assessore regionale della Campania, l’uomo che ha messo nero su bianco sui progetti che di fatto penalizzano la parte d’Italia che da Salerno scende verso giù e arriva allo Stretto.
In un’intervista rilasciata al giornalista Nando Santonastaso, Cascetta riassume la “filosofia” della gestione Delrio: massima cautela per le nuove grandi opere, ma solo per quele considerate eccessive, costose e soprattutto riguardanti porzioni di territorio poco produttive. Perché non si spiega altrimenti – qualunque sia il giudizio sul Ponte e sul suo impatto fortissimo nei nostri territori – questa incredibile politica dei due pesi e delle due misure, venuta spudoratamente allo scoperto in quella mappa che sintetizza le opere previste nel “Def”.
Leggiamo alcuni passaggi che esemplificano il pensiero di Cascella e del suo ministro. «Le scelte proposte non sono una mera shopping list, piuttosto rispondono a chiari obiettivi strategici e alle esigenze funzionali della domanda di mobilità». Cita i nuovi tunnel ferroviari del Frejus e del Brennero – opere, anch’esse, dall’altissimo impatto ambientale, ma c’è una grande opera che alla fine non lo abbia? – come simbolo di quest’Italia che vuole realizzare solo opere “utili”. E quei tunnel sono utili, perché raccordano i valichi svizzeri del Sempione e del Gottardo con la Pianura Padana e con i porti della Liguria e del Nord Adriatico.
E qui viene alla luce il collegamento tra le previsioni del Piano infrastrutture contenuto nel “Def” e quelle della riforma della portualità targata sempre Delrio: una riforma che favorisce, anche qui in modo lampante, i porti del Tirreno settentrionale (Genova in testa) e quelli dell’Adriatico (Trieste e Venezia, salvaguardando le Autorità portuali di Ravenna e Ancona, pur con numeri decisamente inferiori rispetto a quelli di Messina).
Riguardo all’Alta velocità, giustamente il giornalista del Mattino chiede come mai non c’è traccia, quando invece si era detto che bisognava estenderla alle aree del Paese, come nel Sud, dove di fatto è inesistente? «L’obiettivo resta», – afferma, con la tipica impassibilità del tecnico. Ma mentre per il Centro e il Nord Italia è un elenco preciso di opere pubbliche da portare avanti, qui si resta nel vago, si parla solo di «velocizzazione con tecnologie e interventi infrastrutturali», cosa ben diversa dell’Alta velocità che unisce già l’Italia da Napoli in su. Parla del decongestionamento della rete autostradale intorno alle grandi aree metropolitane italiane di Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania. La Città metropolitana di Messina è come se non esistesse. Ed è come se non ci fosse un’Area integrata dello Stretto fatta da due Città metropolitane con una popolazione di oltre seicentomila abitanti. Ineffabile il riferimento al Ponte: «In questo caso parliamo di progetti di fattibilità, ovvero progetti di infrastrutture che si immagina possano essere utili, ma per i quali oggi non ci sono elementi sufficienti per prendere decisioni sulla loro realizzazione, con quali scelte tecnologiche e quali costi». E, dunque, si rimanda a nuovi studi.
Trionfa l’ipocrisia in Italia. Non si ha il coraggio di ammettere che la fattibilità del Ponte era stata dimostrata – al punto che lo stesso Stato nazionale ha indetto una gara internazionale per la scelta del General Contractor – e soprattutto non si ha il coraggio di prendere una decisione definitiva. In campagna elettorale non conviene scontentare nessuno. Così Delrio dice che il progetto del Ponte è “caducato”, Alfano e Franceschini lo considerano “strategico”, c’è chi rispolvera l’idea del Tunnel e chi, come Cascella, il Richelieu delle Infrastrutture, si trincera dietro la più democristiana delle cautele. Ma cosa mai abbiamo fatto di male per meritarci un simile trattamento?
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