Il volto sereno di Gesù, attorniato dagli apostoli. Nel suo sorriso accennato tutta la consapevolezza del tradimento che di lì a poco si sarebbe consumato ad opera di Giuda Iscariota. Maestosa, solenne nella raffigurazione di un istante iconico delle celebrazioni del Venerdì santo, “L’Ultima cena”, è la prima delle “barette” a lasciare la chiesetta Nuovo Oratorio della Pace, dando il via alla tradizionale Processione, con alcune decine di minuti di ritardo sulla tabella di marcia. Giusto il tempo di permettere ai messinesi di sistemarsi lungo le strade attraversate da un cammino di fede, intenso e suggestivo. Vestiti di bianco, i portatori muovono la prima baretta con sicurezza e forza, due colpi di martello a segnare l’inizio dello strappo, altrettanti a segnalarne la sosta. Gesti solenni, riti che si perpetrano ormai da secoli, dalla presenza spagnola in città. Una dopo l’altra, le 11 “barette” compiendo il percorso della croce diventano simbolo di caduta e sofferenza, ma anche di compassione, quelle di chi asciuga il volto di Gesù sofferente e gli tiene la mano nei momenti più difficili. Alcune sono opera di maestri del legno di Ortisei come “Maria Addolorata”, avvolta da un lungo manto scuro, e salutata dagli applausi dei fedeli, la “Veronica che asciuga il volto di Gesù”, tra le più pesanti e maestose, “Gesù nell’Orto degli Ulivi” la seconda, in ordine di uscita e “Gesù aiutato dal Cireneo”. Altre sono antichissime, sopravvissute a terremoti e guerre, come “La Flagellazione”, terza in ordine di uscita, “La Caduta di Gesù sotto la Croce”, realizzata dal messinese Giovanni Rossello, entrambe risalgono ai primi anni del Settecento. La più antica è forse l’“Ecce Homo”, le mani giunte, i polsi stretti da una corda sottile, “Gesù in Croce” è uno dei simboli del corteo del venerdì santo, bellissima la Pietà la “baretta” chiamata “Gesù deposto”, col Cristo ormai privo di vita, abbracciato teneramente dalla Madonna e da Maria Maddalena. Infine la vera “bara”, la teca che custodisce il corpo di Gesù, denominata il “Sepolcro” a chiudere la processione, accompagnata dalle musiche eseguite dalla banda musicale dell’associazione culturale “Giuseppe Verdi” di Bordonaro e dagli sguardi dei fedeli, sistemati ai lati delle strade. C’è chi per la prima volta si trova ad osservare un rito antico e dal fascino misterioso, chi invece, sempre nello stesso posto, aspetta il passaggio dei simulacri, raccontando ai bambini i momenti cardine della passione di Gesù, tanti intenti ad immortalare i volti dei simulacri con i propri smartphone, gremiti anche alcuni balconi lungo il percorso. Luci soffuse per ogni “baretta”, incedere ondeggiante, il suono ritmato dei tamburi ad opera degli sbandieratori e musici dell’associazione Marduk di Rometta, i colori dei fiori per ogni simulacro: il rosso del sangue versato, il bianco della purezza, il viola della caduta. Un tempo lungo quest’anno per attraversare il solito itinerario, forse a causa della mancanza di alcuni tiratori e di ritardi accumulati durante l’uscita dalla chiesa, in testa al corteo la confraternita del Santissimo Crocifisso, in coda l’arcivescovo Giovanni Accolla, alla sua prima volta: «Non conoscevo questa processione, un’esperienza unica, che raffigura il dolore dell’uomo superato dall’amore di Dio, ci parla di caduta, indifferenza, conversione e redenzione». Insieme con mons. Accolla il sindaco Renato Accorinti, gli assessori Federico Alagna e Sergio De Cola, le autorità civili e rappresentanti delle Confraternite ed aggregazioni laicali cittadine. Tutti insieme, a piazza Duomo, dove le Barette, una accanto all’altra, creano una immagine commovente della Via crucis compiuta. Davanti alla cattedrale la preghiera finale prima dell’ultimo, faticoso, strappo, la tradizionale “‘nchianata di Varetti”.