La parolina magica al Consorzio autostrade siciliane tra il 2102 e il 2013 era “incentivo”, in pratica “mazzette” interne che si spartivano in pochi, soprattutto i capi, lasciando le briciole economiche a pochi dipendenti “scelti”, probabilmente per tenerseli buoni.
Con il piccolo particolare, però, che si trattava di soldi pubblici. E sono 70 i casi accertati, per oltre un milione di euro.
In dodici, è questa la fetta più grossa, si sono intascati nel biennio in questione, secondo la Procura e la Dia somme non dovute, tra 40mila e 180mila euro, e si badi bene tutte extra stipendio, perché la “mesata” la percepivano già regolarmente.
È questa la terza puntata dell’operazione “Tekno”, con cui la Procura e la Dia di Messina e Catania hanno rivoltato come un calzino il Cas in questi ultimi anni, partendo dalle carte sequestrate nel 2012 e finendo ai nostri giorni. Ma probabilmente non è finita qui perché sibillinamente, ieri mattina, il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, che ha coordinato l’intera inchiesta insieme al sostituto Stefania La Rosa, ha detto chiaro e tondo che «si stanno valutando altre posizioni».
I 12 provvedimenti
La terza puntata dell’inchiesta “Tekno” chiusa ieri riguarda sul piano delle misure cautelari siglate dal gip Tiziana Leanza ed eseguite dalla Dia, solo dodici dei 57 indagati complessivi della tranche, tra dirigenti e dipendenti, con il contestuale decreto di sequestro per equivalente di somme che si aggirano su 1,3 milioni di euro. Vengono contestati a vario titolo, in questa fase, solo il peculato e il falso.
Sei degli indagati hanno subito la cosiddetta misura interdittiva, e sono stati sospesi dall’esercizio di pubblico ufficio o servizio, per la durata di sei mesi. Si tratta di Antonio Lanteri, 63 anni, di Messina; Stefano Magnisi, 64 anni, di Furnari; Angelo Puccia, 57 anni, di Castelbuono; Gaspare Sceusa, 61 anni, di Barcellona Pozzo di Gotto; Alfonso Schepisi, 64 anni, di San Piero Patti; Anna Sidoti, 45 anni, di Montagnareale. Quest’ultima è in atto anche il sindaco di Montagnareale, ma la sua attività amministrativa da prima cittadina non ha nulla a che vedere con l’inchiesta, ed è anche Rup dei lavori del Cas, a Messina, per il viadotto Ritiro.
Con lo stesso provvedimento, il gip Leanza ha disposto - per una somma complessiva pari a circa 1,3 milioni di euro - il sequestro preventivo per equivalente del saldo di rapporti bancari o, in caso di incapienza, di beni immobili e mobili, a carico di 12 persone: Carmelo Cigno, 68 anni, di Palermo (oltre 111mila euro); Letterio Frisone, 64 anni, di Messina (oltre 47mila euro); Carmelo Indaimo, 71 anni, di Ficarra (oltre 67mila euro); Antonio Lanteri, 63 anni, di Messina (oltre 60mila euro); Stefano Magnisi, 64 anni, di Messina (oltre 34mila euro); Angelo Puccia, 57 anni, di Castelbuono, (oltre 42mila euro); Gaspare Sceusa, 61 anni, di Barcellona Pozzo di Gotto (186mila euro); Alfonso Schepisi, 64 anni, di S. Piero Patti (143mila euro); Anna Sidoti, 45 anni, di Montagnareale (quasi 70mila euro); Antonino Francesco Spitaleri, 67 anni, di Roccella Valdemone (quasi 47mila euro); Antonino Liddino, 67 anni, di Messina (oltre 38mila euro); Corrado Magro, 70 anni, di Avola (oltre 147mila euro). Le somme “bloccate” dagli investigatori della Dia di Messina e Catania sono in pratica quelle che tutti avrebbero indebitamente percepito tra il 2012 e il 2013, per gli incentivi, come dipendenti del Cas.
Gli incentivi «non dovuti»
Gli incentivi nella Pubblica amministrazione sono sì previsti dalla normativa - in questo caso è il Codice degli appalti nazionale del 2006 per come recepito dalla Regione Siciliana -, ma devono essere ancorati a progetti ben precisi, portati a termine, e con precise certificazioni scritte. Ebbene, dal monitoraggio che è stato effettuato dalla Procura, che ha affidato una consulenza ad hoc, e dagli accertamenti investigatori della Dia di Messina, scrive il gip Lenza che sono emersi dati sconcertanti. Eccoli, così come li descrive il gip nelle due annualità: «... i consulenti, all’esito del vaglio di tutta la documentazione disponibile afferente agli interventi/lavori realizzati dal C.A.S. nel biennio 2012/2013, in relazione ai quali è stata prevista l’elargizione di incentivi di progettazione, hanno rilevato l’illegittimità e/o irregolarità di settanta decreti di liquidazione, di cui ventotto relativi all’anno 2012 e quarantadue all’anno 2013».
Nel 2012 «... a fronte di 28 decreti di liquidazione esaminati, ben quindici sono risultati completamente privi di qualsiasi forma di documentazione o elaborato tecnico a supporto mentre i rimanenti tredici sono corredati da una documentazione scarna, carente o comunque irregolare».
Nel 2013 invece «... a fronte di quarantadue decreti di liquidazione esaminati, si è riscontrato che diciassette sono completamente privi di qualsiasi forma di documentazione o elaborato tecnico a supporto, mentre i rimanenti venticinque decreti sono corredati da documentazione scarna, carente o comunque irregolare».
Ma c’è di più, perché scrive ancora il gip che «... si è, inoltre, riscontrato che nella maggioranza dei casi gli incentivi sono stati liquidati a fronte di appalti riguardanti opere qualificate come di “somma urgenza” il cui valore a base d’asta superava notevolmente la soglia di 200.000 euro prevista per legge. In relazione ad alcuni appalti risultano, inoltre, erogate a titolo di incentivo somme superiori al 2% dell’importo posto a base di gara dell’opera, cioè superiori alla percentuale normativamente prevista come quota massima da destinare a fine di incentivazione».
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