Nella foto: Morana, Gelati, Aliquò, Clini Cavicchi Morgante, Vullo, Plebe, Caudo
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Messina
Il point break della sanità è ad un passo. «Un punto di non ritorno, perché la società è cambiata e anche la sanità deve cambiare». Non utilizza giri di parole il prof. Ivan Cavicchi, ordinario di Sociologia delle organizzazioni sanitarie e Filosofia della medicina all’Università Tor Vergata di Roma, spiegando alla platea dell’auditorium dell’azienda Papardo i concetti espressi nel suo libro, “La quarta riforma”, nel corso del convegno voluto dal direttore generale Michele Vullo e moderato dal direttore editoriale di Gazzetta del Sud, Lino Morgante. «Abbiamo fatto tre riforme e il bilancio non è entusiasmante, è stato cambiato poco e i problemi sono rimasti – ha detto – serve una riforma profonda altrimenti il sistema sanità non lo salviamo». La sfida è quella della sostenibilità, ovvero rendere il sistema più efficace e meno costoso. «Gli ospedali sono definiti dalla riforma sanitaria del 1968, organizzati sul posto letto. Il problema è quello che io definisco dell’invarianza, non è cambiato il modello della medicina generale, della specialistica ambulatoriale, quello ospedaliero ancora mariottiano. Occorre eliminare sprechi e diseconomie che sono parecchio diffuse e al tempo stesso rinnovare le professioni, i modelli dei servizi, reingegnerizzare il sistema sanitario. Così da avere un sistema pubblico universale, che copre tutti e alla fine costa di meno».
«Quella del professore Cavicchi è un’analisi fortemente preoccupata – ha aperto i lavori Vullo –, si va verso un processo di ritorno al sistema mutualistico che escluderebbe dalla tutela sanitaria parte della popolazione rischiando un caposaldo. Forse non ci si è resi conto che stiamo andando verso una direzione pericolosissima per dovere garantire un’offerta sanitaria non coerente con la domanda pur di mantenere piccoli ospedali che non sono adeguati ai bisogni del territorio e che porta a una crisi finanziaria con tagli a strutture più avanzate». La “quarta riforma” di Cavicchi si concentra sul paziente: «Bisogna riorganizzare i servizi – ha aggiunto ancora l’autore del libro – guardando alla sanità come una squadra, ripensare i contesti organizzativi, puntare sul luogo di vita del malato. Abbiamo bisogno di medici e infermieri bravi, non parlare di sanità ma di medicina e dei suoi contenuti. Bisogna andare oltre la figura classica del dipendente. Serve un “autore”, ovvero un professionista che abbia autonomia e responsabilità e che misuri poi sui risultati».
Sulla stessa linea di pensiero il direttore generale dell’Irccs Neurolesi “Bonino Pulejo”, Angelo Aliquò: «La sanità è fatta dagli uomini. Bisogna vedere i risultati delle nostre azioni nelle persone. Confrontiamoci sulle regole di base ma guardiamo al risultato. La nostra più grande innovazione è quella di aver attivato la conoscenza di tutto ciò che si fa in azienda. Stiamo lavorando al senso di partecipazione, affinché ci si renda conto che si fa parte della squadra. E un pezzettino della quarta riforma l’abbiamo fatta senza che siano cambiate le regole, mettendoci passione». Il presidente dell’Ordine dei Medici, Giacomo Caudo ha evidenziato quali sono le nuove sfide che attendono i medici: «Sarà sempre più una medicina tecnologica e la centralità del paziente si confronta con lo sviluppo della tecnologia. Ma serve anche l’umanizzazione della medicina perché la sostituzione dei medici da parte delle macchine è un rischio lontano nel tempo. Oggi le tecnologie permettono in modo più semplice di acquisire dati, ma senza il processo finale di integrazione il tutto diviene una mole inutile di raccolta». Claudio Clini, direttore scientifico di Federsanità, ha voluto invece guardare all’innovazione con «logica positivista. È vero, ci sono tanti problemie l’innovazione e la tecnologia sono belle ma attenzione sempre a quello che può andare storto».
«Fiducia, innovazione, lavoro di squadra, responsabilità sono tutti aspetti di un unico interesse, quello di generare valore – ha affermato Luca Gelati, dell’Usl di Modena – bisogna sentirsi squadra, con un interesse comune: la persona malata. È su questo che dobbiamo misurarci».
Gli altri relatori erano Giovanni Morana, ingegnere informatico ed esperto in progettazione di soluzioni innovative in ambito Big Data, IoT e Cloud, e Alessio Plebe, professore associato presso il dipartimento di scienze cognitive dell'università di Messina.