Messina

Lunedì 29 Aprile 2024

Intestazione fittizia di beni, condannati Bonaffini e Chiofalo

Intestazione fittizia di beni, condannati Bonaffini e Chiofalo

Quattro pesanti condanne ieri in primo grado sono state inflitte dalla prima sezione penale del tribunale, per il processo “satellite” dopo la maxi confisca da 450 milioni di euro al commerciante ittico diventato imprenditore edile Sarino Bonaffini. Un patrimonio che successivamente è stato solo in minima parte restituito.

Quattro erano gli imputati coinvolti, con la contestazione del reato di intestazione fittizia di beni. Si trattava dello stesso Sarino Bonaffini, del fratello Angelo Bonaffini, e poi dell’imprenditore ittico Gaetano Chiofalo e del fratello Domenico.

I giudici hanno inflitto 4 anni di reclusione a Sarino Bonaffini e Gaetano Chiofalo, 3 anni e 6 mesi di reclusione a Angelo Bonaffini e Domenico Chiofalo.

I quattro sono stati assistiti dagli avvocati Salvatore Silvestro, Carlo Autru Ryolo, Enzo Musco, Nino Favazzo e Maurizio Cacace

Si tratta di una “coda d’indagine” della maxi inchiesta coordinata a suo tempo dal sostituto della Distrettuale antimafia Vito Di Giorgio, e gestita dalla Squadra mobile. Ieri l’accusa era rappresentata invece in udienza dal pm Anna Maria Arena.

Tre erano le contestazioni accusatorie di questo procedimento che ruotavano intorno ad alcune “imprese-chiave” dell’impero economico Bonaffini.

Nella prima ipotesi l’intestazione fittizia di beni ipotizzata a suo tempo dalla Dda peloritana riguarda il passaggio di quote societarie della nota ditta “Pescazzurra srl”, nell’ottobre del 2009, dai fratelli Sarino e Angelo Bonaffini a Gaetano Chiofalo, ditta con al centro attività legale alla pesca e alla commercializzazione del pescato.

Nel luglio del 2010 invece sempre i fratelli Bonaffini cedettero le loro quote ai due Chiofalo dell’impresa “C&B Immobiliare srl”. E infine, sempre nel luglio del 2010, il solo Sarino Bonaffini «attribuiva fittiziamente» ai due Chiofalo le proprie quote della “Immobiltre srl”. Le due imprese avevano come ragione societaria l’acquisto e la vendita di beni immobili.

Il patrimonio dei Bonaffini, sottoposto a sequestro nell’ottobre del 2011 dopo un’indagine molto lunga e complessa, esattamente due anni dopo, nel 2013, ha subito la confisca di primo grado da parte della sezione Misure di prevenzione del Tribunale, su un presupposto ben preciso sostenuto con forza dalla Procura e riconosciuto sussistente dai giudici: è un patrimonio che sarebbe stato generato riciclando denaro proveniente dal clan mafioso di Mangialupi. Attualmente la vicenda è trattata in grado d’appello. (n.a.)

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