Nella storia di Mangialupi l’arlecchino un po’ rotondo di case sgangherate e mattoni forati alla rinfusa che si scorge guardando dall’alto questa roccaforte criminale, siamo un po’ più su di Gazzi, è emblematico di un contesto che dalla metà degli anni ’80 è divenuto una enclave mafiosa a tutti gli effetti.
Viuzze controllate dai motorini del clan, videocamere di sorveglianza per spacciare droga in tranquillità, bar e distributori di benzina adoperati come basi per riunioni al vertice e pianificazione degli affari “sporchi”.
Le ondate giudiziarie a cadenza regolare hanno più volte azzerato tutto, ma puntualmente con nuovi organigrammi la mafia e le sue propaggini malate si sono riproposte riagguantando quella fetta di potere omertoso che controlla il territorio.
Questa volta non soltanto con la droga o le estorsioni, ma attraverso le “macchinette mangiasolidi”, le slot-machine, distribuite non soltanto in città ma anche in altri centri.
Anche questa volta però, lo Stato ha ripulito una zona in cui sono anche tante le persone oneste che si sbattono dalla mattina alla sera per sbarcare il loro lunario non più nuovo lavorando onestamente.
E i contorni dell’operazione “Dominio” tratteggiati nella lunga ordinanza di custodia cautelare siglata dal gip Monia De Francesco, contengono alcuni passaggi che dimostrano come in determinate circostanze la gente finisce per rivolgersi ai mafiosi - in questo caso la figura preminente è Domenico La Valle con la sua cerchia di “sgherri” - e non alla Legge, se rubano qualcosa o c’è una “questione” da sistemare.
Stroncare tutto questo è stato fondamentale. Tra le 221 pagine del provvedimento ci sono alcuni di questi episodi che vale la pena di raccontare per capire il contesto.
Le “macchinette”
È una conversazione del 9 giugno 2014 captata dentro il suo bar, in cui viene intercettato La Valle, che dà un quadro preciso di quanto sia ramificata la sua “azienda”. Ecco cosa scrive il gip, che parla di «gestione pressoché esclusiva». Una conversazione «... nel corso della quale il predetto si lasciava andare ad esclamazioni che non necessitano di particolari commenti (La Valle Domenico: Il problema sai qual è Peppe? che non hanno capito niente, e se uno prima non gli fa male bene bene non lo capiscono! Perché gliel’hanno spiegato tre volte ancora, che a Messina siamo tre quelli che abbiamo le macchinette, io, uno che gli interessa a Carmelo Ventura ed i fratelli Romeo)».
Ventura è il boss riconosciuto e riverito di Camaro, mentre i fratelli Romeo - scrive il gip -, «entrambi figli di Romeo Francesco e Santapaola Concetta, sorella del più noto Santapaola Benedetto detto “Nitto”, sono da considerarsi a capo della frangia operativa a Messina del clan Santapaola».
Il furto del cane
È da una conversazione registrata in una base operativa di La Valle, il distributore Erg di viale Gazzi, il 25 settembre del 2014, che gli investigatori capiscono tutto. Scrive il gip: «L’ascolto della conversazione ha permesso di accertare che G.S. dopo aver subito il furto di un cane, era riuscito a recuperarlo proprio grazie all’intervento di La Valle - al quale si era rivolto per risolvere il problema -, e di Trovato Alfredo. Dal tenore della conversazione emerge chiaramente come sia bastato che si presentasse dagli autori del furto con Trovato Alfredo, perché gli venisse restituito immediatamente il cane. Addirittura era accaduto che P.A., autore del furto del cane, da una posizione inizialmente dominante nei suoi confronti, grazie all’intervento risolutivo di La Valle e Trovato Alfredo, avesse cambiato completamente atteggiamento divenendo remissivo e arrivando persino ad offrirgli consumazioni al bar».
Illuminante in questo senso è la frase pronunciata dal proprietario del cane, G.S., mentre parla con La Valle, che è andato a ringraziare di persona: «... minchia maaa oggi l’ho visto, da ieri sera che si storceva il muso e faceva il malandrino, oggi era tutto... che mi voleva cercare scusa, mi voleva offrire qualcosa al bar».
I furti nelle sale-gioco
Altri due furti sono stati “risolti” da La Valle con i suoi sistemi. L’ammanco a più riprese di 1.700 euro in una sala giochi di Giarre che era rifornita di “macchinette” a noleggio dal suo gruppo, e la sottrazione di un macchina cambiavalute in una tabaccheria di Messina, con all’interno 1.140 euro.
Entrambi i titolari dei due negozi, con tanto di registrazioni delle telecamere di videosorveglianza al seguito per individuare i ladri, si sono rivolti proprio a La Valle invece di andare a denunciare tutto alle forze dell’ordine. E La Valle li ha “accontentati”.
Ecco cosa scrive il gip De Francesco sulla prima vicenda: «... una volta ricostruita compiutamente la dinamica dei fatti ed identificati i soggetti responsabili costoro venivano convocati, il mese successivo, presso il bar La Valle, dove si è registrata un’interessante conversazione nel corso della quale La Valle Domenico e i fratelli Trovato (Alfredo e Salvatore) avvalendosi di un metodo chiaramente mafioso, e della condizione di assoggettamento che ne derivava, costringevano Alleruzzo Francesco, Alleruzzo Alberto e Bombaci Carmelo (tutti identificati con certezza grazie all’ausilio delle immagini registrate dalle intercettazioni video in corso all’esterno dello stabile) a consegnare loro il maltolto».
Stesso canovaccio viene descritto dal gip per “ricomporre” il furto alla tabaccheria-bar, con una conversazione captata al bar La Valle, da cui: «... si ricava la prova che i propositi estorsivi di La Valle si erano ampiamente concretizzati. Costui infatti aveva ottenuto da Aspri Angelo, detto il “Puffo”, e da Mazza Daniele detto “’u picciriddu” la restituzione di quanto trafugato all’interno del tabacchino (La Valle Domenico: “Ieri, hanno fatto un tabacchino, si sono portati il cambiamonete! Stamattina ci hanno portato i soldi!”)».
Chiosa quindi il gip De Francesco: «Anche in tal caso, dunque, come in occasione dei furti descritti in precedenza, il La Valle spendendo la forza di intimidazione derivante dalla sua fama criminale, riusciva ad ottenere la restituzione del corrispettivo della perdita subita con il furto ai danni del bar».
La storia del gruppo
Attivo sin dagli anni ’80
Il clan mafioso di Mangialupi, attivo sin dalla metà degli anni ’80, da tempo strutturato gerarchicamente con influenze nella zona sud, è stato sempre storicamente avulso dal contesto criminale cittadino, con una posizione quasi “isolata” rispetto a tutti gli altri gruppi. La prima operazione antimafia che lo ha smantellato, la “Mangialupi”, del 1994, è ormai storia giudiziaria definitiva, con la sentenza divenuta irrevocabile nel 2001. Proprio in quel processo la corrispondenza famiglia Trovato-clan di Mangialupi fu il punto cardine, e quell’Alfredo Trovato che riportò condanna per associazione mafiosa è uno degli indagati della odierna operazione “Dominio”. C’è poi da tenere presente, anche l’operazione “Nemesi-Ninetta”.