La messa in scena di un’esistenza eccentrica e sfuggente a qualsiasi cliché, uno spettacolo che, a seconda dei momenti, assume i toni del reading poetico o dell’intermezzo musicale: dopo la prima assoluta, andata in scena alla Sala Laudamo lo scorso anno, “I Siciliani” di Antonio Caldarella, una produzione del Teatro di Messina, per la regia di Ninni Bruschetta, ritorna, questa volta sul palco del Vittorio Emanuele, arricchito dalla presenza dell’orchestra del teatro messinese. Scrittore, poeta, attore, Antonio Caldarella è stato non solo un artista poliedrico ed estremamente singolare, ma anche una presenza importante all’interno della scena culturale di Messina, dove decise di trasferirsi una volta lasciata la sua Avola. Il Caldarella di Ninni Bruschetta è un omaggio al poeta che veste i panni del romantico cialtrone, all’artista viaggiatore, ma anche un ricordo sincero dell’amico con cui si è condiviso un percorso di vita, breve ma intenso. A dare voce ai Siciliani, Annibale Pavone, Margherita Smedile e Maurizio Puglisi, figure che emergono dal buio per poi dissolversi, puntualmente, su se stesse. Pavone si muove tra il palco e la platea, raccontandosi con una fresca e irriverente franchezza che segue i contorni morali delle “Confessioni di un oppiomane” di Thomas De Quincey: calemboùr, assonanze e improbabili enumerazioni di sostanze vengono snocciolati in sequenze di espressioni colorite e sfrontate, mentre l’interpretazione di Margherita Smedile, si spinge oltre i limiti dell’esasperazione melodrammatica, incarnando quell’inaccessibilità emotiva tutta siciliana, lamentevole e sussurrata. Un racconto intimo che a più riprese sembra riecheggiare e disperdersi tra le pareti di un teatro troppo grande e non particolarmente gremito. Tante, invece, le suggestioni musicali, offerte dalle composizioni originali del maestro Giovanni Renzo e interpretate con brio dall’orchestra del Vittorio Emanuele, diretta da Cettina Donato: dall’apertura sulle livide note di “Don’t Explain” di Billie Holiday, passando per “Georgia on my mind” di Ray Charles fino al momento più alto dello spettacolo, in cui sullo sfondo musicale di “How deep is your love” arriva “Un’unghia di Basquiat”, la poesia che forse, su tutte, restituisce al pubblico il senso più autentico dell’estetica di Caldarella: vivere nell’arte, subito, tra la luce e il buio, il giorno e la notte, senza passare dal pomeriggio.
Interessante vedere come, a volte, il teatro riesca a confondersi con la vita, in un simbolismo che infrange la liturgia della messa in scena: in apertura, infatti, i due ex direttori artistici del Vittorio Emanuele, dopo aver accolto il pubblico, lasciano il palco, prima che le luci si spengano e inizi lo spettacolo, quasi in un allegorico commiato, a chiusura di una stagione ormai conclusa.
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