Possibilità di rateizzare i propri debiti con l’erario, ed in particolare coi Comuni e gli enti pubblici in genere. Eliminando sanzioni e interessi e alleggerendo, così, il carico del debito stesso. È questa, in estrema sintesi, la cosiddetta “rottamazione delle cartelle esattoriali”, strumento previsto dal Governo nazionale per dare ossigeno alle famiglie, quantomeno per quelle tasse che gli enti non sono riusciti a riscuotere nel periodo che va dal 2000 all’anno scorso.
Una possibilità fatta propria da tanti Comuni, in Italia e anche in Sicilia. Ma non da quello di Messina. Per aderire, Palazzo Zanca avrebbe dovuto predisporre un’apposita delibera, che poi avrebbe dovuto essere approvata dal consiglio comunale. Niente di tutto ciò è avvenuto e in riva allo Stretto non si potrà “rottamare” alcunché.
In realtà Messina rappresenta un’eccezione fino a un certo punto. Sono molti i Comuni, specie quelli più grandi, che hanno deciso di non prendere questo “treno”. Alcuni, come quello di Milano, ne hanno fatto una questione quasi “ideologica”: «Non sarebbe corretto nei confronti di chi ha sempre pagato le tasse», è la posizione espressa dal sindaco meneghino Beppe Sala. Nel caso di Messina il problema – affrontato quando assessore al Bilancio era Luca Eller Vainicher, che oggi non è più in Giunta – sembra sia prettamente numerico e di calcolo.
Le tasse non riscosse, infatti, sono inserite come crediti sia nei bilanci che nel piano di riequilibrio ancora oggi “sospeso” al ministero dell’Interno. Rottamare quelle entrate tributarie, riducendone di fatto la portata, avrebbe significato prevedere minori entrate nel Piano stesso. Minandone la sostenibilità. Il rovescio della medaglia è, come sempre, che la “rottamazione” avrebbe invogliato maggiormente i cittadini a pagare. Si sarebbe incassato meno, ma almeno si sarebbe incassato. Ma la scelta, evidentemente, ha privilegiato i numeri ad oggi “virtuali” di un piano di riequilibrio che ormai ricorda Godot.(seb.cas