L’allarme era stato già lanciato un mese fa durante una riunione tenutasi nella sede della Protezione civile: l’erosione avanza con costanza sul litorale clou dello Stretto, quello più centrale e panoramico, i cinque chilometri di costa tra Paradiso e Sant’Agata.
Adesso, alla vigilia dei rinnovi per le 28 concessioni rilasciate dalla Regione ai lidi messinesi, buona parte delle quali costella proprio questi cinque chilometri, è il sindacato di categoria, la Fiba a evidenziare la dimensione e le possibili soluzioni di questo problema. Che può diventare emergenza, anche socio-economica. «In parte lo è già – spiega il presidente provinciale della Federbalneari, Santino Morabito – visto che quest’inverno ben 4 apprezzati stabilimenti che operano tra Contemplazione e Sant’Agata – La Spiaggetta, Sottovento, Gli Irrera a Mare e Sea Sport – hanno subito danni per migliaia di euro, uno addirittura per 15.000, perché le onde hanno danneggiato gli arredi e scavato sotto le fondazioni». A rischio c’è soprattutto il futuro: «Perché – ricorda Morabito – i due progetti di protezione costiera oggi portati avanti dal Comune e finanziati dalla Regione, redatti sulla base degli studi del geologo Gioé, riguardano solo la costa tra Casabianca e Tono e quella tra Capo Rasocolmo e Marmora mentre nessun intervento di questo tipo sarà eseguito, in tempi ragionevoli, a Contemplazione, Pace o Grotte. Proprio lì dove le aerofotogrammetrie degli ultimi anni attestano l’incremento del tutto costante dell’erosione». E in effetti qui non solo i lidi cominciano a subire devastazioni durante le mareggiate più intense. Nell’ultimo decennio ad essere sventrato più volte dalle onde è stato il tratto maggiormente esposto della pista ciclabile, all’altezza dei campi di calcetto dell’ex Trocadero e del Luna park. E sempre quest’inverno, diversi sono stati gli allagamenti della Lega Navale, sull’altro confine del Trocadero, dove la portata di avanzamento del mare è aumentata.
Ma allora, considerato che i progetti richiedono tempo, come scongiurare l’emergenza? C’è chi s’è ingegnato. «Un lido, ovvero La Spiaggetta, – spiega il dirigente dell’Uta, l’Ufficio territoriale per l’ambiente, l’ing. Marco Messina – ci ha chiesto l’autorizzazione a provvedere autonomamente alla rifioritura dei massi frangiflutti che si trovano nel tratto di mare immediatamente antistante». Per questa come per le altre richieste sarà l’ufficio di Messina, e non la Regione, a rispondere. Al contempo si delinea un’altra ipotesi, che pare utopistica, ma che è realtà consolidata altrove. «Come Fiba di Messina – rivela Morabito – abbiamo rappresentato a Palermo l’esigenza che i nostri lidi vengano autorizzati, come avviene sulla riviera romagnola o su quella ligure, a realizzare a terra barriere amovibili come autoprotezione di questi patrimoni d’impresa: massi o anche pareti metallo disposte a “L” e rafforzate con sacchi di sabbia. Insomma, serve una svolta: l’80% dei lidi messinesi si concentra nel litorale più sottoposto all’erosione».
Ma l’arrivo della primavera, che da noi somiglia così tanto all’estate, non rilancia solo il tema dell’erosione. C’è molto altro, lidi a parte, se davvero si vuol parlare di turismo. O almeno di diritti del cittadino-utente.
Nell’attesa che il fatidico piano Spiagge approdi in consiglio comunale e venga approvato come patrimonio comune, ci si chiede, ad esempio, se la pulizia degli arenili e l’offerta di elementari servizi (parcheggi, docce, accessi) nelle cosiddette spiagge libere debbano rimanere sempre gli stessi, cioé modestissimi.
Se per l’igiene l’assessore Ialacqua ha promesso una partenza anticipata rispetto al 2016, e tornerà il bus notturno per il popolo della movida, in tutto il resto, Messina potrebbe rimanere sempre all’anno zero. Qualche esempio? Si dia un’occhiata alle scalinate da cui scende nella grande spiaggia di Sant’Agata, con le erbacce, i liquami e i rifiuti; si rifletta sull’assenza di docce sull’intera riviera da Paradiso a Capo Peloro; o su alcuni cantieri nautici coi tetti d’eternit, su altri che affastellano mezzi e materiali al di fuori delle aree recintate. E su Capo Peloro: sull’edificio ghetto del Seaflight, squallido e pieno di rifiuti nella Punta della Sicilia. O sui muri e sui recinti che fanno, del litorale di Marina di Fuori, un carcere. Coi bagnanti che “accedono” da varchi somiglianti a squarci prodotti da un bombardamento. Ma quanto durerà tutto ciò?