Sono due, pare, i detenuti in permesso premio venuti meno alla fiducia accordata loro dalla giustizia italiana, che hanno utilizzato l’occasione del ritorno “premiale” a Messina, dalle rispettive carceri, per provare a rapinare la giolleria Burrascano anche a costo di ingaggiare un conflitto a fuoco tra la gente, in centro città.
Con l’accusa di tentata rapina, nella tarda serata di sabato, è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria il 28enne Emanuele Cannavò, secondo presunto responsabile dell’assalto al negozio di preziosi di corso Cavour dopo l’arresto del trentenne Giuseppe Cannavò, cugino di Emanuele, stanato sotto un’auto nel garage del Palazzo Giordano, dopo la sparatoria sul corso Cavour. Emanuele Cannavò, così come il cugino Giuseppe, sarebbe dovuto rientrare proprio oggi nel carcere in cui si trovava per reati contro il patrimonio. Diversa, tra i due cugini, solo la provenienza: la casa circondariale di Porto Azzurro, Livorno, per il più giovane; quella di Favignana, isole Egadi, per il trentenne acciuffato la sera stessa della sparatoria.
A prelevare Emanuele Cannavò, nella sua abitazione della zona sud, sono stati i poliziotti della Squadra mobile, coordinati dal dirigente Francesco Oliveri, che a partire da quella stessa sera, in cui le Volanti avevano assicurato alla giustizia il cugino, hanno intrecciato i fili di un’indagine serratissima e tutt’altro che facile. Gli investigatori, infatti, si sono misurati con l’oggettiva difficoltà di identificare un uomo in fuga tra la gente del corso Cavour e poi in alcune traverse della stessa, con il volto completamente occultato dal casco, e con immagini spesso poco chiare per l’ora serale. Dispiegando tutta la loro professionalità non senza mettere la conoscenza dei potenziali sospetti, hanno studiato attentamente la gran mole dei filmati raccolti dalle telecamere della gioielleria e da quelle di un’ampia zona. Sotto i fari, tutti i particolari della conformazione fisica e dell’abbigliamento del fuggitivo. In questo modo hanno raccolto taluni elementi chiave che, uniti ad altri riscontri – al momento non divulgati – forniti dall’indagine, hanno condotto all’identificazione del bandito in Emanuele Cannavò. Non appena acquisita, sulla base di “gravi indizi”, la convinzione piena della colpevolezza di Emanuele Cannavò, la Squadra mobile ha eseguito il provvedimento di fermo di polizia giudiziaria nei confronti del ventottenne «gravemente indiziato del reato di tentata rapina». A firmarlo il sostituto procuratore Stefania La Rosa, che ha coordinato le indagini. Subito ne è stato informato il pubblico ministero di turno, Piero Vinci. Dal momento dell’attuazione della misura, la tarda serata di sabato, sono scattate le 48 ore previste dalla legge per il provvedimento di convalida, o meno, da parte del Gip. Secondo quanto fin qui ricostruito, alle 19.30 di sabato, proprio mentre uno dei due Cannavò spianava il fucile contro la titolare della gioielleria Burrascano, dalla corsia preferenziale di corso Cavour è transitata la volante con i due agenti a bordo ai quali la scena del crimine in corso è balenata subito chiarissima. Sono scesi e hanno intimato il “fermi Polizia” che spesso blocca i rapinatori in azione, ma i due giovani nascosti dai caschi, a quanto pare i due detenuti in permesso premio, hanno reagito nel peggiore dei modi, facendo deflagrare le due fucilate nel cuore della città, per seminare il panico e coprirsi la fuga.
I poliziotti li hanno inseguiti a perdifiato sul corso Cavour e poi, pare, nelle vie della Zecca e 24 Maggio, per poi discendere di nuovo verso il corso Cavour fino all’isolato compreso tra la via Oratorio San Francesco e via Sant’Agostino, che al suo interno comprende il liceo Seguenza, Palazzo dei leoni e Palazzo Giordano. Da quel dedalo di cancellate Emanuele Cannavò, quella sera, sarebbe riuscito a scappare e a tornare a casa, a “godersi” il permesso premio. Avrebbe cercato di riprendere la sua vita, come se nulla fosse, ma la Mobile ha stretto il cerchio su di lui, in poco più di 24 ore.
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